Di uomini che chiedono scusa e di femminicidi: il problema qual è?

Amici e amiche,
Sono anni che non scrivo di queste tematiche, ma mi “vrusciano” troppo le dita e ho bisogno di esternare quello che penso.

No, non è un ritorno, o almeno non credo.

Per anni Bambole Spettinate & Diavole del Focolare ha raccontato storie di donne, ha trattato questioni di genere e comunicazione. Il gruppo si è sciolto nel 2020 e da allora non ho più scritto nulla a riguardo, ma ho fatto da spettatrice.

Con immenso dispiacere mi rendo conto che la situazione in Italia non è migliorata: le discriminazioni sono sempre le stesse e i numeri delle donne morte ammazzate non diminuiscono. 

Siamo a fine novembre e la conta delle donne uccise nel 2023 in Italia è osceno: 105 donne uccise per mano di un uomo

Negli ultimi anni la situazione in Italia è stata la seguente: 

  • 142 i casi di femminicidio nel 2018
  • 111 i casi di femminicidio nel 2019 
  • 116 i casi di femminicidio nel 2020 
  • 119 i casi di femminicidio nel 2021 
  • 125 i casi di femminicidio nel 2022

Rispetto a qualche anno fa ci si indigna con un reel, si fa diventare virale la tendenza, si mette il balletto a tema nei vari social, si fa casino il 25 novembre…ma la situazione, come avete potuto vedere, non migliora. Tutti e tutte dicono la propria e – alcuni\e – fanno finta di dare il proprio contributo alla causa con un qualcosa che non è altro che un modo per farsi pubblicità. Poi di nuovo il silenzio.

L’evento che ha scatenato il moto di indignazione di questi ultimi giorni è il femminicidio di Giulia Cecchettin per mano dell’ex fidanzato.

Di questa vicenda, che mi ha toccato nel profondo, oltre all’orribile fatto, mi lasciano perplessa molte cose che riguardano la narrazione e come è stato commentato e percepito il tutto.

Ho visto video di uomini che chiedevano scusa, altri che si incazzavano perché non si reputano assassini e\o violenti. 

I dati parlano, le statistiche pure… ma io credo che il problema non sia del genere maschile. Il problema è culturale e risiede all’interno di una società malata – patriarcale e machista – che crea uomini incapaci di accettare la fine di una relazione, o che la compagna sia una mente brillante, che possa valere e brillare di luce propria e non riflessa (giusto per dirne qualcuna, la lista è lunga).  

Il problema risiede nelle convinzioni che vengono propinate come sacra verità, negli standard irraggiungibili imposti; dai ruoli e dalle etichette che vengono assegnati ad ognuno di noi già da quando siamo nel grembo materno. 

Le donne provocano e devono stare zitte, gli uomini agiscono d’impulso, “vittime” di raptus… tante sono le cose che sentiamo quotidianamente volte a giustificare vicende violente. Tutto ciò non fa altro che approvare e radicare la cultura machista nella quale siamo immersi, ed è questa cultura che bisogna distruggere.

La sorella di Giulia viene attaccata, sia da uomini che da donne, perché fa sentire troppo la sua voce, viene accusata di non provare dolore perché si fa vedere forte e determinata e, addirittura, qualcuno fa notare che ascolta musica metal (perché? ma siamo nel medioevo?). Ho visto post con delle critiche nei suoi confronti, che riportavano delle foto in cui indossava la maglietta di un gruppo metal e magari aveva un trucco dark, ma mi sorge spontanea una domanda: quanti, dei 105 assassini di donne, ascoltavano musica metal? Molti avevano la faccia del bravo ragazzo, ve li ricordate alcuni di loro? Sbarbatelli, educati, i ragazzi perfetti… bene, sono gli stessi che hanno avuto il pensiero, la forza e il coraggio di prendere un coltello in mano e colpire innumerevoli volte la donna che dicevano di amare, non preoccupandosi del figlio che qualcuna di loro portava in grembo. E non contenti di ciò, le hanno scaricate come sacchi della spazzatura. Non sappiamo se ascoltavano metal, probabilmente erano quelli della messa della domenica.

Il problema della sorella di Giulia è il suo essere una donna incazzata che non vuole stare zitta. Qualcuno direbbe che deve raccogliersi nel suo dolore. Fanculo, dico io… se ha voglia di urlare quello che sta vivendo, fa bene! Le hanno ucciso la sorella, deve essere arrabbiata e chiedere di fare rumore, perché con il silenzio si rischia solo di far diventare la vicenda di Giulia un triste ricordo, e di questi tristi ricordi non se ne può più. Mi chiedo anche: se a “fare rumore” fosse stato il padre di Giulia, avrebbero considerato il suo genere musicale preferito come elemento determinante per attestare la sua autorevolezza? O avrebbero visto quello che è realmente: la rabbia e il dolore per una perdita?

Esiste da sempre questa idea di possesso: siamo esseri liberi, decidiamo di condividere la nostra vita con qualcuno, ma non siamo di nessuno. Non esiste la famigerata metà della mela, ma solo amore, rispetto e la consapevolezza che un domani il sentimento possa finire. E no, una relazione che finisce non è un fallimento, anche se ci fanno credere che sia così e che bisogna resistere. Perché? in nome di cosa? 

Il “senza e te non pozz sta perché tu m’appartiene” dimentichiamolo, grazie! 

Distruggiamo questa cultura del possesso.

Ogni volta che succede un fatto di cronaca che vede protagonista una donna, dallo stupro al femminicidio, ci sono persone che cercano di sminuire la vicenda, cercando cavilli per poter dire: “ma lei…” ma lei cosa? Si parla di violenza, di morte e di abusi, non esistono giustificazioni. Vediamo le cose per quelle che sono: un uomo, un assassino che ha ucciso una donna, lasciate perdere i contorni legati all’abbigliamento, al luogo e cose simili. 

In una società utopica dovremmo essere libere di vestirci come ci pare e passeggiare sole anche alle quattro del mattino, ma siccome non è possibile, noi donne spesso ci limitiamo. Purtroppo però i fatti avvengono lo stesso, e leggere – ANCORA-  commenti che colpevolizzano la vittima e non il carnefice è vergognoso, perché sono anche (e non solo) questi commenti a radicare ancora di più convinzioni e modi di fare sbagliati.

Persino quando dite: “però poteva lasciare il compagno violento” state facendo parlare l’ignoranza e il patriarcato, perché se si chiama violenza psicologica, un motivo ci sarà. 

Ho letto anche accuse rivolte nei confronti della scuola, in quanto per molti dovrebbe essere un’istituzione volta a formare l’individuo, certo… ma non basta. La scuola può aiutare ad educare al rispetto, ma è la famiglia che instrada i propri figli e figlie. Un esempio: i no che oggi non siete capaci di dire ai vostri figli, in alcuni casi, genereranno persone incapaci di accettare un rifiuto in un qualsivoglia ambito, e purtroppo abbiamo visto cosa accade quando un uomo non riesce ad accettare la fine di una relazione. La scuola è un supporto, un aiuto, ma da sola non basta. 

La vera rivoluzione inizia dentro di noi, dal nostro modo di pensare. Perché potete anche condividere il post con il numero di donne morte ammazzate nel 2023, scrivere una poesia o dire di vergognarvi in quanto uomini ma, se quando una donna viene stuprata, andate a guardare il suo abbigliamento, la vostra poesia (o altro) non serve a nulla. 

Abbiamo bisogno di gesti concreti, e non di panchine rosse che rappresentano un monumento ai caduti che i ragazzini imbrattano perché nessuno spiega bene il motivo per cui sono lì. 

Secondo l’indagine condotta dall’Istat: “Stereotipi di genere e immagine sociale della violenza: primi risultati”, i cui dati si riferiscono al periodo tra maggio e luglio 2023, la situazione in Italia è la seguente: 

1 uomo su 5 continua a pensare che le violenze sessuali vengano provocate dall’abbigliamento femminile e 4 uomini su 10 sono convinti che una donna possa davvero sottrarsi a un rapporto sessuale se non vuole parteciparvi.

La violenza fisica è in generale meno tollerata, anche se il 4.3% ritiene che qualche schiaffo all’interno della coppia possa scappare, ma più del 10% degli intervistati accetta che gli uomini controllino i telefoni delle proprie compagne.

Tra le possibili cause di violenza le più comuni sono la considerazione della donna come oggetto di proprietà, il bisogno dell’uomo di sentirsi superiore alla compagna e la difficoltà dell’uomo a gestire la rabbia.

Gli stereotipi però non riguardano solo la violenza. Il 21.4% delle persone ritiene infatti che gli uomini siano meno adatti delle donne a occuparsi delle faccende di casa, il 20.9% che una donna per essere completa debba avere dei figli, il 20.4% che sia compito delle madri occuparsi della famiglia e il 17.2% che sia l’uomo a dover provvedere alle necessità economiche del nucleo familiare.

Il 48.7% delle persone ha ancora almeno uno stereotipo sulla violenza sessuale e questi sono i dati dobbiamo assolutamente contrastare.

Ci rendiamo conto che il problema è all’interno della nostra società? Ci troviamo di fronte ad un morbo da debellare, e per fare ciò serve una forte presa di coscienza da parte di ognuno di noi, ma anche da parte delle istituzioni.

E serve anche un cambiamento radicale di come vengono narrate le vicende: proprio ora sto  leggendo un articolo con l’ennesima narrazione di merda, volta a fare diventare umano un mostro. Scrivono che Turetta, dopo aver ammesso il femminicidio di Giulia, ha lasciato la stanza in lacrime… ma le lacrime di un uomo che ha ucciso una giovane donna, e ha buttato il suo corpo in un dirupo, a cosa servono?  

E non ho neanche finito di scrivere queste parole che leggo che altre due donne sono state uccise brutalmente da chi diceva di amarle.  

È una mattanza, che va avanti da sempre e che bisogna fermare il prima possibile.

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