CapitanA, mia capitanA

In questi giorni si sente parlare, giustamente, della prima donna italiana nello spazio, il capitanO e ingegnerE Samantha Cristoforetti e mentre ascoltavo le notizie in diretta TV e leggevo articoli al riguardo c’era qualcosa che continuava a martellarmi nella testa.

La mia parte che ha studiato lingue straniere con grande passione non solo per la traduzione e tutto quello che essa implica, ma anche per la linguistica e la sociologia è stata solleticata tanto da indurmi a tirar fuori vecchi articoli e libri dal ripiano alto della libreria, dove si trovano i testi universitari e dove il mio istinto mi ha portato per cercare per dare risposte alle domande che questo evento di enorme portata mi ha fatto porre. Solo sfogliando questi amati testi che profumano di carta e, ahimè, polvere ho capito che a disturbarmi era in continuo uso del maschile nel riferirsi al grado ed alla qualifica della nostra astronauta.

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Io sono laureata in tedesco e so che in questa lingua per parlare dei mestieri femminili, anche quelli che son stati fino a poco tempo fa esclusivamente maschili, basta aggiungere una desinenza per renderli femminili ed il caso più eclatante anche per chi il tedesco non lo parla è la Kanzlerin – Cancelliera Angela Merkel,che nessuno si sognerebbe di chiamare Kanzler, anche se prima di lei la parola Kanzlerin non esisteva, però nel corso della mia attività lavorativa ho avuto varie volte a che fare con varie Frau Ingenieurin (ingengnera), Chefin (capa) e così via. A questo punto si potrebbe obiettare che la grammatica tedesca ed italiana siano diverse, così ho semplicemente cercato sul vocabolario di Italiano Treccani online ed ho trovato quanto segue:

capitano (ant. capitànio) s. m. [lat. *capitanus, variante del lat. tardo capitaneus, der. di caput -pĭtis «capo, testa»]. –Chi è a capo, spec. di un corpo armato: Canto l’armi pietose e ’l capitano Che ’l gran sepolcro liberò di Cristo (T. Tasso). Negli eserciti moderni, il capo di una compagnia di soldati o di un corpo equivalente: nella gerarchia militare di quasi tutti gli eserciti fa parte della categoria degli ufficiali inferiori (in Italia, è il grado intermedio fra tenente e maggiore) e ha alle sue dipendenze uno o più ufficiali subalterni.

Vediamo che il nome è MASCHILE e non INVARIABILE come per esempio “insegnante” o “giornalista” o, per restare in tema “astronauta”, per cui niente mi vieta, a livello grammaticale, di riferirmi ad una donna indicandola come “capitana” se non la consuetudine.

Stessa cosa vale per INGEGNERE:

ingegnère s. m. (f. -a, raro) [der. di ingegno, nel sign. di «congegno»]. – In origine, chi progetta e dirige l’esecuzione di macchine belliche o idrauliche, e la costruzione di opere civili, militari, idrauliche e stradali. Nell’uso odierno, in senso stretto, chi, fornito di laurea in ingegneria e di abilitazione all’esercizio di tale professione, progetta, organizza e dirige le costruzioni edilizie, stradali, meccaniche, navali, aeronautiche, industriali, gli impianti per l’estrazione e la trasformazione delle materie prime, ecc.: iscriversi, essere iscritto all’albo degli i.; l’ordine degli i. e architetti; determinando la specialità: i. civile, i. industriale, i. elettrotecnico, i. informatico, meccanico, minerario, chimico; i. del suono, esperto in acustica architettonica, che si occupa in partic. della progettazione di ambienti destinati a esecuzioni musicali, a registrazioni sonore, e sim., e delle relative attrezzature. Come titolo e appellativo (rivolgersi a un i.; senta prima l’i.; buongiorno ingegnere, e sim.), è usato di norma nella forma masch. anche se riferito a donna.(TRECCANI)
In questa definizione trovo molto interessante l’ultima frase, che ho volutamente sottolineato: DI NORMA viene usato il maschile anche per le donne, ma questo non significa che la lingua italiana non permetta l’uso del femminile, si tratta di una semplice consuetudine, la stessa che ci porta a chiamare una donna Architetto, Ministro o Maestro (intendendo il maestro in quanto ad esempio direttore di orchestra, non quello elementare, perché nel secondo caso la professione femminile è socialmente accettata) ecc.

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(nella foto Emma Strada, la prima ingegnerA italiana!)

La questione dei nomi femminili delle professioni, specialmente quelle che fino a poco tempo fa erano appannaggio esclusivo degli uomini, era già stato portato in luce dall’Accademia della Crusca a metà degli anni novanta in quanto l’incertezza nell’uso di tali parole era stata espressa sia per quanto riguarda il linguaggio comune che quello giornalistico e proprio in questo ambito ha portato a galla una riflessione molto interessante, che può essere consultata sul nr. 13, ottobre 1996 di “La Crusca per voi” a pagina 10: quando si parla di una “norma” in linguistica si crea sostanzialmente un parallelo con la norma “giuridica”, vale a dire che se esistono usi linguistici che possiamo verificare in determinati “fonti” come grammatiche o vocabolari, d’altro canto sappiamo che le grammatiche ed anche i vocabolari registrano molto lentamente (e prudentemente) le modificazioni del sentire comune che avvengono nella società, per cui una norma grammaticale perde ogni significato se la comunità dei parlanti cessa di considerarla vincolante, basti pensare alla fine che stanno facendo molti tempi verbali.

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Se nel 1987 Alma Sabatini nell’opuscolo “Le raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana” auspicava che avrebbero preso piede le forme femminili dei mestieri per cui avremmo avuto una Ministra e non un Ministro, un’Avvocata e non un Avvocato o peggio ancora Avvocatessa (ricordiamoci che il suffisso –essa è un diminutivo) a distanza di quasi trent’anni non sembra abbia avuto proprio ragione nonostante siano giunti da vari settori della società e della politica richiami per rivedere questa tradizione androcentrica del linguaggio (ad esempio in Svizzera, dove l’Italiano è una delle lingue ufficiali, nel 2012 è stata pubblicata una Guida al pari trattamento linguistico di donna e uomo nei testi ufficiali della Confederazione).

Le motivazioni dell’incertezza nell’usare le forme femminili per certi mestieri probabilmente sono più di una: da un lato si ha la convinzione che il corrispettivo maschile vada bene anche per le donne, ma questo non è del tutto vero, altrimenti sarebbe così anche per gli altri mestieri (ma nessuno, ad esempio, si sognerebbe di chiamare Kate Moss modello), sia perché sia i giornali che le stesse donne rifiutano gli appellativi femminili che vengono avvertite come ironiche o sminuenti.

Questa resistenza però è soltanto mascherata da motivi “linguistici”, ma ha un’evidente matrice culturale.

Sperando che un uso più consapevole della lingua possa aiutare anche ad avere una maggiore affermazione di una cultura (e non solo di una lingua) paritaria faccio le mie più grandi congratulazioni alla nostra prima CAPITANA e INGEGNERA nello spazio, Samantha Cristoforetti.

 

Fonti e riferimenti:

Dizionario Treccani online: http://www.treccani.it/

“La Crusca per voi”, nr. 13, ottobre 1996

Sabatini Alma: “Le raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana”

Robustelli Cecilia: “Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo” http://www.accademiadellacrusca.it/sites/www.accademiadellacrusca.it/files/page/2013/03/08/2012_linee_guida_per_luso_del_genere_nel_linguaggio_amministrativo.pdf

8 commenti

  1. Ciao, anche io laureata in lingue.

    Concordo in tutto e per tutto con quanto scritto nel tuo articolo.
    In aggiunta al tuo pensiero dico soltanto che le modifiche ad una lingua viva avvengono anche grazie all’uso dei media, dei giornali ecc. Se in Italia ancora i giornali si ostinano a scrivere “Il Ministro Tizia blablablà” chi legge si sente legittimat* a continuare a usare la parola al maschile anche quando è riferito ad una donna.

    Un altro punto è che il fatto che le donne si sentono sminuite di importanza se la loro professione è nominata al femminile anziché col corrispettivo maschile senza rendersi conto che l’uso comune del maschile è dovuto, molto più spesso di quanto s’immagini, all’esclusività maschile dell’accesso a molte professioni.

    Molto spesso mi sento rispondere che la non lessicalizzazione del femminile di certe professioni è dovuta semplicemente al fatto che suoni male. Sistematicamente rispondo che per lo stesso principio allora dovremmo quanto meno ancora parlare in latino, greco, arabo o un miscuglio delle tre a seconda della provenienza geografica (io sono siciliana, per esempio) più qualche altra decina di ceppi linguistici locali.

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