Umberto Galimberti: stereotipi in salsa… neuro-filosofica!

Leggo questo articolo e resto basita. Poi lo rileggo e un po’ mi scappa da ridere, un po’ no.

Sono basita perché un articolo di questo genere me lo sarei aspettato scritto dal cardinal Bagnasco, non dal professor Galimberti. Se l’avesse scritto Bagnasco, l’avrei liquidato pensando che queste interessanti teorie le poteva scrivere solo un uomo, vecchio e prete; avendolo scritto invece Galimberti, del quale fino ad oggi avevo opinioni evidentemente confuse, mi lascia perplessa.

Un po’ mi scappa da ridere, perché suppongo che il professore si dichiari in possesso di ben costruite mappe emotive, così come lo credo io di me stessa. Ecco, non so come sia stato seguito Galimberti nei primi tre anni di vita, ma posso dire che io sono stata (e sono seguita tutt’oggi!) benissimo, ma dubito fortemente che siamo stati seguiti allo stesso modo. Ebbene sì, signore e signori: io sono la prova vivente che le mappe emotive si formano anche se genitori e nonni lavorano, si hanno parecchie babysitter e si vede una certa dose di tv! E prego di tenere conto che, essendo nata nel 1980, di cartoni animati pubblicità e programmi assurdi ne ho visti parecchi.

Il professore sostiene che 

“i sentimenti non sono una dote naturale e non si trasmettono geneticamente, bensì si apprendono e soltanto attraverso la costruzione di mappe emotive si possono costruire relazioni e legami.”

E fin qui, direi che siamo nel campo della buona educazione.

“Le mappe emotive si formano attraverso la cura che i bambini ricevono nei primi tre anni di vita e servono a sentire il mondo e a reagire agli eventi in modo proporzionato. (…) se nei primi tre anni di vita i bambini non sono seguiti, accuditi, ascoltati allora ci si trova di fronte ad un misconoscimento che crea in loro la sensazione di non essere interessanti, di non valere niente. Crescono così senza una formazione delle mappe cognitive, rimanendo a un livello d’impulso. (…) L’impulso conosce il gesto, l’emozione conosce la risonanza emotiva di quello che si compie e di quello che si vede. Poi si arriva al sentimento che è una forma evoluta, perché non solo è una faccenda emotiva, ma anche cognitiva. Il sentimento si apprende.” (…) “li impariamo (i sentimenti) attraverso la letteratura, che è il luogo dove si apprende che cosa sono il dolore, la noia, l’amore, la disperazione, il suicidio, la passione, il romanticismo. Ma se la letteratura non viene frequentata e i libri non vengono letti, se la scuola disamora allora il sentimento non si forma. E se la cultura non interviene, i ragazzi rimangono a livello d’impulso o al massimo di emozione.”

Per curiosità, negli anni tra i tre e i sei, quindi tra gli anni di cure parentali totali e l’ingresso alle scuole elementari e conseguente introduzione almeno alla lettura, si vive di rendita? 

Ma qui mi sono cascate le braccia.

“La nostra (società) non è idonea perché i genitori, per sopravvivere, devono lavorare in due e quindi il tempo per la cura dei figli non c’è. I figli sono affidati a un esercito di baby sitter, o peggio alla baby sitter di tutte le baby sitter che è la televisione. I genitori non hanno tempo di stare con i bambini e si difendono cercando di dare loro un tempo-”qualità”, ma i bambini hanno bisogno di tempo-quantità. Hanno bisogno di essere riconosciuti passo dopo passo, disegno dopo disegno, domanda dopo domanda. Non basta fare quattro week end giocosi per avere una relazione con i figli. E se non si ha questo tempo, dobbiamo rassegnarci a avere dei figli  in cui  le mappe emotive e cognitive non si formano.”

Eh già, i bei vecchi tempi, quelli che si stava meglio quando si stava peggio e le donne con le gonne stavano a casa e si occupavano della prole e così sì che la crescevano sana e con delle mappe emotive che oggi non se ne vedono più!

Caspita, chissà che mappa emotiva deve avere mia nonna, che sua madre non lavorava e si occupava di lei! O forse no? La madre di mia nonna di figli ne aveva sei e anche se non lavorava fuori casa, aveva il suo bel da fare in casa, tra aia, orto e figli, per di più a cavallo di due guerre. Eppure guarda un po’, mia nonna non solo è cresciuta lo stesso, ma certo non è un’analfabeta emotiva! E mia madre? Mia nonna ha sempre lavorato e i figli li ha spesso affidati ad altri, in famiglia e fuori. Eppure anche mia madre non è un’analfabeta emotiva! – e dire che lei aveva anche la televisione! –

E infine, se questa televisione è una compagnia tanto deprecabile (non potrei essere più d’accordo), forse si potrebbe esplorare l’idea di farne qualcosa di meglio? Che so, magari partendo dalla tv pubblica?

“Per quanto riguarda la scuola, bisognerebbe che i professori, oltre a sapere la loro materia, fossero anche in grado di comunicarla e di affascinare.”

E sia. Magari se si ricominciasse a far leggere gli studenti e a non censurare la letteratura e l’arte perché si crede che così i figli vengano su deviati… che poi, deviati rispetto a cosa? 

“Viviamo in una società ricca e non più povera e semplice come una volta, dove il confine tra bene e male, il permesso e il proibito era ben segnalato.”

Torniamo sempre lì: la società di una volta, semplice, pulita, con confini ben delineati, dove le donne facevano le mamme e gli uomini facevano i capifamiglia. Ovviamente la responsabilità delle mappe emotive dei figli è delle madri, mentre i padri possono anche essere dei debosciati, perché l’importante è che tutto abbia la sua casella ben delimitata

Ah, queste madri che lavorano! Il professore dichiara che il problema nella nostra società è che si lavora entrambi per necessità, e così queste donne che non fanno il loro dovere trovano un’attenuante nelle circostanze: abdicano il loro ruolo di educatrici emotive non perché vogliono, ma perché – poverine – devono. 

Al professor Galimberti vorrei dire che io sono madre a mia volta. E dirò di più: sono una madre che lavora, lascia i figli all’asilo e ha la baby sitter, a casa nostra si guarda Peppa Pig e molto altro. Certo che lavoro per necessità, ma lavoro anche perché mi piace lavorare e mi piace fare il mio lavoro, perché esisto per conto mio e non solo in funzione dei miei figli, non è quello il mio unico ruolo. Perché essere così approssimativi? Certo che i figli vanno seguiti, certo che i genitori li amano (e non solo le madri! Ci siamo persi nella lettura della mappa biologica e ci siamo scordati che i figli si fanno in due?) ma dove sta scritto che l’unica modalità possibile sia quella della presenza continua? Io non ho avuto genitori presenti nel senso che non lavoravano o non esistevano se non in funzione della mia presenza al mondo. Ho avuto genitori che hanno fatto della mia presenza a questo mondo il centro delle loro vite, sì, ma con modalità non stereotipate! Da loro ho imparato proprio questo: che si possono amare ed educare i figli in molte circostanze e in molti modi: io sono la prova che questo è possibile e certo no sono l’unica. Crede davvero Galimberti che il problema principe sia quello di relegare le donne alla sola cura dei figli per i loro primi tre anni di vita per avere una società adatta a educare le future generazioni? Non è forse prova di analfabetismo scambiare delle modalità non stereotipate di prendersi cura dei propri figli con l’incuria?

Ecco: mia nonna, della cui mappa emotiva abbiamo discusso sopra, ha sempre commentato che essere diversi all’interno di una comunità non fa altro che mostrare agli altri membri del gruppo quanto sono conformisti. Da cui, aggiungo io, discende la tentazione di riproporre – questa volta conditi in salsa neuro-filosofica – degli stereotipi vecchi come il mondo, ma buoni per ogni stagione.

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E infine vorrei fare un piccolo appunto: il professor Galimberti è riuscito a portare ad esempio una ben nota, delicata, vicenda di cronaca con una mancanza di pudore tale che a me, giovane ineducata da genitori che lavoravano, priva strumenti di apprendimento dei propri sentimenti, ha chiaramente suscitato sdegno.

6 commenti

  1. Ora io sono nata un pochino prima, nel 1960; i primi tre anni della mia vita non li ricordo, ma dopo, i miei genitori li vedevo poco, raramente, io stavo con mia nonna, oppure con una vicina di casa che ricamava in casa, oppure, la mia preferita, nel retrobottega di una latteria, in compagnia della figlia antipatica, della lattaia, ma anche con caramelle gommose e colorate, brigidini, croccanti, torroni, ma sopratutto panna montata..questo fino alle medie, che iniziai a stare per conto mio, tornavo da scuola, mangiavo e uscivo e rientravo a buio, dove spesso ancora i miei genitori non erano tornati, e io avevo il compito di mettere l’acqua per la pasta…
    Quando i miei figli erano piccoli, in pratica io li ho visti poco, perchè per lavoro partivo la mattina alle sette e rientravo la sera alle sette, il mio ex compagno è un insegnante e aveva un pò più tempo a disposizione con i figli, ma spesso si lasciavano da degli amici oppure viceversa loro lasciavano i figli da noi.. Alcune sere tornavo e la casa sembrava un asilo nido, altre il silenzio più assoluto..
    Comunque, Io ho un amico che fa il cartografo, che ne dici se mi faccio fare una mappa emotiva a china colorata??

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    • Splendida idea!
      Ma non è che poi si rischia uno studio psico-filosofico sui colori? Sia mai che ti ritrovi con una mappa troppo verde, troppo rossa o troppo blu e importanti studi che riveleranno come la colpa sia di tua madre che ti ha lasciato a mangiare la panna dalla lattaia!
      Ci vuole cautela in certe iniziative… 🙂

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      • Ho capito, non ci si può fare nemmeno una frittata, perchè dietro un uovo c’è sempre una “mamma”. 🙂

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  2. ho parlato male anche io di questo articolo un po’ di tempo fa http://cosmicmummy.blogspot.it/2014/04/il-mio-commento-su-galimberti.html
    la teoria di Galimberti che parte sicuramente da presupposti giusti arriva comunque a conclusioni reazionarie e retrograde, e critica la nostra società (sicuramente non perfetta) senza però dirci quale sarebbe un esempio di società, del passato o del presente, dal lui considerata “adatta”. forse le società del passato, in cui come dici anche tu non solo non c’era alcuna attenzione per la psicologia e la sensibilità dei bambini ma anzi i bambini erano affidati alle tate o ai collegi nel caso di famiglie ricche, o abbandonati a loro stessi, ai fratelli maggiori o alla strada perchè le loro madri dovevano sbrigare le faccende di casa? perchè forse lui ha dimenticato che una volta lavatrici e aspirapolveri non ce n’erano, e certo le madri non avevano tutto questo tempo per giocare con i loro figli, ascoltarli se avevano un problema, in realtà non avevano neanche una preparazione culturale ed emotiva a loro volta per far fronte a tutte le problematiche psicologiche dei bambini. i bambini vivaci erano bollati come “terribili”, se non filavi dritto ti beccavi uno schiaffone e imparavi a stare al tuo posto. per non parlare del fatto che pochi bambini avevano un’istruzione, le mie nonne hanno fatto a mala pena le elementari, l’infanticidio era utilizzato come metodo anticoncezionale, spesso e volentieri invece che andare a scuola i bambini venivano mandati a lavorare. ma Galimberti li ha letti i romanzi più famosi per l’infanzia? la letteratura è piena di esempi che – leggendoli oggi con i miei figli – fanno rabbrividire. Heidi è un romanzo che denuncia lo sfruttamento e l’analfabetismo infantile nelle montagne della Svizzera; in Peter Pan la famiglia di Wendy aveva una bambina della stessa età della protagonista come cameriera; Gianburrasca e Pippi Calzelunghe sono ironici e allegri ma denunciano proprio una società repressiva e autoritaria nei confronti dei bambini… sono solo i primi esempi che mi vengono in mente. oppure vogliamo parlare di altre società del presente? paesi del terzo mondo, in cui c’è la guerra, la fame, la mortalità infantile e materna è elevatissima, le bambine sposano uomini che hanno 20 anni più di loro e sono esposte a mutilazioni, gravidanze precoci, violenze? oppure dove c’è lo sfruttamento del lavoro minorile, i bambini soldato… no, davvero questa moda del rimpiangere i bei tempi andati oppure guardare come esempio società arretrate davvero è un insulto al nostro benessere e al nostro stato di salute. invece un progetto di educazione affettiva ed emotiva è svolto negli asili nido, ai quali però hanno accesso solo una percentuale piccolissima dei bambini italiani. io sinceramente avrei sfruttato l’occasione per parlare proprio di questo, di un paese che è completamente assente nell’educazione nei nostri bambini. fra l’altro i bambini che vanno all’asilo o al tempo pieno a scuola non hanno tempo di guardare la TV, e quando sono a casa noi genitori ci dedichiamo totalmente a loro. quello che posso vedere invece, senza generalizzare è solo la mia esperienza personale, è che i bambini che hanno la mamma casalinga o passano molto tempo a casa dei nonni sono quelli che passano ore ed ore davanti alla TV. allora denunciamo il fatto che le nostre istituzioni non ci vengono incontro e non vengono incontro ai diritti dei nostri figli, perchè è un diritto di ogni bambino andare all’asilo nido, e avere 2 stipendi in famiglia, cosa che invece in questo paese arretrato è una rarità, un lusso. ed è un diritto anche del bambino che i genitori possano prenderlo a scuola, portarlo in vacanza, passare del tempo con lui senza rischiare il posto di lavoro. perchè Galimberti non parla dei congedi parentali ad ore che dal 1 gennaio dello scorso anno sono in sospeso grazie ai sindacati? http://cosmicmummy.blogspot.it/2013/03/i-congedi-parentali-ore-sono-solo_29.html
    mi sembra che il “filosofo” abbia parlato senza alcuna cognizione di causa, ma si sia limitato ad aprire la sua bocca reazionaria e nostalgica di un passato idealizzato e mai esistito e darle fiato.
    perdonate il lungo commento ma questo è un argomento che mi sta a cuore e mi fa imbestialire. se avete voglia possiamo continuare la discussione anche sotto il mio post.

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      • grazie, la battaglia per i congedi parentali ad ore mi riguarda molto da vicino e sarei contenta se se ne parlasse di più… più che altro mi piacerebbe vincerla prima che i miei figli siano maggiorenni! 😉 x qualunque informazione, io sono a disposizione.

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