Elizabeth Jane Cochran, nota con lo pseudonimo di Nellie Bly, fu la prima giornalista investigativa. Nacque il 5 maggio del 1864 a Cochran’s Mills, parte dell’attuale periferia di Pittsburgh, e visse una vita davvero straordinaria, se consideriamo le restrizioni che avevano le donne in quel il periodo storico.
La sua carriera iniziò quando George Madden, direttore del Pittsburgh Dispatch, le offrì un posto a tempo pieno all’interno della sua redazione, in quanto rimase colpito dalla risposta che scrisse a un articolo misogino.
Nonostante fosse interessata a proporre articoli che affrontavano la difficile situazione che vivevano le donne lavoratrici, veniva spinta a scrivere di giardinaggio, moda e società. Nel 1886 si trasferì in Messico come corrispondente estera, e qui iniziò a scrivere sulle condizioni sociali del paese sotto il potere di Porfirio Díaz. Quando il governo messicano si rese conto del suo lavoro fu costretta a lasciare il paese e tornare in patria. Quello che vide diventò un libro: Sei mesi in Messico.
Nel 1887 si trasferì a New York, qui iniziò a scrivere per il New York World di Joseph Pulitzer. Le venne proposto un incarico sotto copertura per il giornale: doveva fingersi pazza per essere internata nel Manicomio femminile per alienate sull’isola di Blackwell e indagare così, sugli abusi e lo stato di abbandono della struttura. Accettò e rimase ricoverata per dieci lunghi giorni. Questa sua esperienza uscì prima sul giornale e, in seguito, fu raccolta in un libro intitolato “Dieci giorni in manicomio” di cui parleremo nel prosieguo. Il resoconto, oltre a renderla celebre, suscitò grande scandalo e indignazione. Il gran giurì esamino le accuse mosse da Nellie e fu stanziato un milione di dollari in più all’anno per le cure delle persone mentalmente instabili.
Il 14 novembre 1889 si imbarcò in un’altra impresa prendendo spunto dal libro di Jules Verne, Il giro del mondo in ottanta giorni. Viaggiò sola su navi a vapore e treni,e rientrò a casa il 25 gennaio del 1890. Stabilì un record compiendo tutto il tragitto in settantadue giorni.
Nel 1895 sposò Robert Seaman e abbandonò la sua carriera di giornalista per diventare la presidente della Iron Clad Manufactoring Co. Suo marito morì nel 1904. Lei diventò una delle principali industriali femminili. Purtroppo però, l’appropriazione indebita da parte dei suoi dipendenti, la portò al fallimento. Ritornò così al giornalismo. Partì per l’Europa, dove si mantenne da vivere come corrispondente di guerra per The Evening Journal. Tornata negli Stati Uniti, continuò a scrivere e a mobilitarsi per i bambini in difficoltà.
Ritornò in seguito a scrivere articoli di cronaca, parlando al congresso delle suffragette del 1913. Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale si trasferì in Europa ed inviò reportage al New York Evening Journal dal fronte russo e serbo.
Morì di polmonite il 22 gennaio 1922, a soli 57 anni.
Dieci giorni in Manicomio
“Prendete alcune donne perfettamente sane e in salute, rinchiudetele in una stanza, dove saranno costrette a rimanere sedute dalle 6 del mattino alle 8 del pomeriggio, senza mai potersi muovere, né parlare, alimentatele con del cibo scarso e avariato e costringetele a sottoporsi a bagni gelidi e terapie estremamente dure, senza mai dar loro notizie di ciò che accade nel mondo e vedrete come ben presto le condurrete alla follia. Due mesi sono sufficienti a provocare in chiunque un vero e proprio esaurimento fisico e mentale.”
Nel 1887 Nellie Bly accettò il gravoso incarico di fingersi paranoica per farsi internare nel manicomio dell’isola Blackwell, allo scopo di scoprire le condizioni di vita delle donne ricoverate. La sua inchiesta uscì nel giornale per il quale lavorava ed ebbe un enorme impatto, tant’è che vennero stanziati dei soldi per risolvere le numerose problematiche esistenti. La sua esperienza è stata anche raccolta in un libro: Dieci giorni in manicomio.

Leggendo il suo breve, ma terribile, resoconto viene fuori l’orrendo sistema che vigeva nel 1800. Un sistema in cui le persone che rappresentavano un problema o un peso per la società, venivano rinchiuse a vita nei manicomi, dove erano trattati in maniera disumana.
Nellie Bly riuscì a farsi internare in meno di ventiquattro ore. Le basto fingersi paranoica. Fu portata davanti a un giudice che, nonostante l’iniziale reticenza, le attaccò addosso l’etichetta di “incapace di intendere e di volere”, regalandole un biglietto di sola andata per l’ospedale di Blackwell.
Nellie fu visitata da diversi medici, ma nessuno dubitò che la sua fosse una messinscena. Le visite mediche erano banali e superficiali, le furono poste delle domande di rito alle cui risposte non venne data la minima attenzione. Resasi conto di ciò, Nellie decise di smettere i panni di paranoica e tornare a essere se stessa, dicendo al personale che era sana di mente, ma nessuno l’ascoltò o mise in dubbio la sua presenza nella struttura.
All’interno del sanatorio conobbe donne finite lì dentro per le ragioni più disparate e pochi erano i veri casi di alienazione mentale.
“ […] mi disse di aver avuto un esaurimento nervoso a causa di un eccessivo carico di lavoro. Era impiegata come cameriera e, quando la sua salute era peggiorata, si era rivolta a una qualche associazione infermieristica per essere curata, ma la nipote, al momento disoccupata, non potendo permettersi di pagare le spese, l’aveva fatta trasferire a Bellevue.”
Una donna fu fatta internare dal marito quando quest’ultimo scoprì che intratteneva una relazione extraconiugale. Un’altra, invece, finì in manicomio perché era straniera e priva di risorse, parlava tedesco e non conosceva l’inglese. Nessuno del personale medico si preoccupò di interpellare un interprete per capire cosa dicesse. Venne etichettata come folle e rinchiusa a vita in quella struttura fatiscente.
“Ma tu non pensi di essere pazza…” affermai.
“No, ma dal momento che siamo state mandate qui, dobbiamo cercare di stare tranquille finché non avremo l’opportunità di andarcene. Anche se, a dire il vero, dubito che ne avremo se tutti i medici, come il Dr. Field, rifiutano di ascoltarci o di darci la possibilità di dar prova della nostra assoluta sanità mentale.”
Le pazienti del manicomio di Blackwell erano trattate senza il minimo rispetto. Nellie rimase infiltrata per dieci lunghissimi giorni, in questo breve arco temporale, documentò le inesistenti norme igieniche, il cibo guasto e rancido che veniva servito, le condizioni pietose in cui versavano le donne: costrette a dormire al freddo e al gelo, in un luogo in cui, a causa dei rumori del personale e delle urla delle pazienti, era impossibile riposare. Tutte lamentavano il freddo, e mentre il personale utilizzava cappotti e capi pesanti, loro erano costrette a indossare indumenti leggeri e non potevano neanche sperare in una coperta o in uno scialle.
Venivano lavate la sera con acqua gelida e mandate a dormire senza essere asciugate. Strattonate e picchiate, dovevano utilizzare tutte lo stesso asciugamano, nonostante qualcuna presentasse evidenti eruzioni cutanee.
“Ci radunammo in 45 nella sala numero 6, per poi dirigerci a piccoli gruppi verso i bagni, dove trovammo appesi due soli ruvidi asciugamani. Nel vedere alcune pazienti con spaventose eruzioni cutanee detergersi il volto per poi asciugarlo con quelli e passarli alle altre, quando giunse il mio turno non esitai a utilizzare la mia sottoveste come salvietta.”
Erano costrette a stare sedute per ore su delle panche, e nessuna poteva parlare, alzarsi per sgranchire le gambe o cambiare posizione.
Le infermiere trattavano le pazienti male e con cattiveria, ridicolizzandole, tormentandole e picchiandole senza alcun riguardo, per motivi inesistenti o banali. Per evitare terribili ritorsioni, nessuna poteva denunciare ai medici gli abusi, o lamentarsi del freddo o del cibo.
Oltre ai pessimi trattamenti riservati alle pazienti, Nellie denunciò anche la pericolosità della struttura. Ogni porta veniva chiusa a chiave manualmente e mancava un sistema automatizzato in grado di aprire le porte tutte insieme in un momento di pericolo. Un incendio, per esempio, poteva causare una vera e propria strage. Il personale della struttura, che già trattava le pazienti come feccia vivente, difficilmente avrebbe aperto tutte le porte in caso di pericolo, mettendo a repentaglio la propria vita. Inoltre il personale non aveva le competenze necessarie per stare in quella struttura. Alcune infermiere, per esempio, erano incapaci di leggere l’altezza, il peso e la temperatura corporea dai rispettivi strumenti.
Conclusioni
Dieci giorni in manicomio è un libricino di poco più di cento pagine, ma al suo interno contiene una denuncia pesante, che indaga meandri che, diversamente, sarebbero rimasti ignoti. Il manicomio di Blackwell era un vero e proprio lager, dove le donne rinchiuse non sempre avevano problemi mentali.
I manicomi servivano, sì, per internare persone con evidenti patologie, ma spesso si utilizzavano per eliminare chi rappresentava un peso o un problema come, per esempio, Rosemary Kennedy . Entrare in queste strutture era estremamente facile, ma era quasi impossibile uscire. Nellie ci riuscì grazie ai suoi colleghi, altrimenti, se nessuno si fosse presentato a reclamarla, sarebbe morta lì dentro da persona sana di mente, considerata però dai medici come un “caso perso”. Il racconto di Nellie mette anche in evidenza la cattiveria umana, esistevano delle eccezioni, ma la maggior parte delle infermiere si divertiva a picchiare e tormentare le pazienti, fregandosene della loro salute e del loro benessere.
Nellie ha avuto il coraggio di provare sulla propria pelle il trattamento riservato alle persone ritenute mentalmente instabili, per denunciare un sistema sbagliato. La storia che racconta è legata a un periodo storico che sembra lontano da noi, ma non è così. Esistono, per citarne alcune, pagine che raccontano quello che accadeva nel ventennio fascista, quando i manicomi si riempirono di donne accusate di essere libertine, indocili, irose, smorfiose o, soprattutto, madri snaturate. E ci sono anche inchieste che denunciano i fatti che avevano come protagonista Villa azzurra, chiusa nel 1979, dove venivano internati bambini che spesso avevano problemi ben diversi dalla follia.
Oggi, grazie alla legge Basaglia, in Italia non ci sono più i manicomi, ma restano pagine che raccontano storie di dolore e sofferenza legate a queste terribili strutture che fungevano da immense discariche umane, in cui venivano rovesciati come rifiuti uomini, donne e bambini.
Nellie Bly, una donna straordinaria vissuta a cavallo del XIX secolo, è riuscita a denunciare tutto ciò.
[…] Articolo pubblicato su Bambole Spettinate & Diavole del Focolare […]
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