Oggi vi proponiamo il racconto e le riflessioni di una nostra lettrice, che parla di sensi di colpa.
Tante volte, a causa di una rigida educazione cattolica o di insegnamenti che vogliono le donne buone e accondiscendenti, capita che ci sentiamo in colpa nell’avere determinati atteggiamenti. Esempio: usciamo con un ragazzo, ci sentiamo attratte da lui, poi però scatta una molla che ci fa capire che non vogliamo andare oltre. Si aprono diversi scenari: il ragazzo in questione si sente offeso dal rifiuto accusando la donna di aver avuto un atteggiamento ambiguo; rispetta la decisione e buona vita a tutti; la ragazza si sente quasi in colpa per averci ripensato. E quest’ultimo atteggiamento, da cosa è causato? Siamo forse vittime di un senso di colpa patriarcalmente imposto da un retaggio culturale maschilista? Probabilmente sì. È importante perciò, cercare di liberarci da questi retaggi e ricordare che non siamo costrette a fare nulla contro la nostra volontà, e poco importa se passiamo per delle st*onze. Non dobbiamo nulla a nessuno, solo rispetto verso noi stesse e verso gli altri.
Buona lettura!
Recentemente, mi è capitata una situazione per me insolita. Ero in un bar con alcuni amici, seduta di fianco a S. con il quale, da tempo, sono impegnata in un platonico ma tenace tentativo di flirt. Sotto l’effetto dell’iniezione di coraggio offertami da qualche calice di vino, complice un divanetto che ci faceva essere a stretto contatto, mi sono spinta un po’ oltre i miei soliti confini e, superata la comfort zone, gli ho “audacemente” toccato un ginocchio con la mano ed intrecciato la gamba con la sua. Stavo mandando chiari segnali di disponibilità, nonostante io sia in una relazione stabile duratura e (per adesso) monogama. Lui invece è libero, un tipo affascinante, una sorta di cultore della vagina e del sesso, allergico ai rapporti duraturi, spaventato dall’affetto e dai legami, un sexy cliché culturale.
Al termine della serata il gruppo si scioglie e, dietro occhiatine e sorrisetti della compagnia, io ed S. ci incamminiamo nella stessa direzione (abitiamo vicino) e, arrivati sotto casa mia, propone un’ultima sigaretta insieme. Situazione pericolosa: so dove vuole arrivare e so che, sebbene sia la realizzazione del sogno erotico che ha accompagnato diversi ménage con il mio consoladòr nell’ultima settimana, io non mi spingerò fino a quel punto.
Gli dico di si.
Fumiamo la benedetta sigaretta. In realtà io fumo, lui passeggia accanto a me sotto il portico. A un certo punto mi fermo, elaboro un banale commento su quanto sia sbronza (non così tanto, avevo annacquato tutto il vino) e lui si ferma dietro di me, con la testa tra i miei capelli, inclinata verso il mio collo, sopra la spalla sinistra.
Sono rigida come una scopa. Non so cosa fare. È proprio la fottuta realizzazione delle mie fantasie, ci siamo, l’universo sta esaudendo recenti indecenti desideri della mia vagina, la quale, poveretta, continua a mandarmi accidenti su accidenti.
Mi bacia una spalla, mi abbraccia, è dolce, delicato, cauto. Sento le sue mani sui miei fianchi, cosa che mi manderebbe in visibilio in zero secondi se, mannaggia a me, non fossi così tesa. Gioca con il bordo dei miei pantaloni. Arriva a sfiorarmi un seno (casualmente molto, molto, esposto quella sera). Mi giro. Siamo a tiro di bacio. Chiaramente, inclina la testa, è pronto. Io no. Scena da liceo, giro la testa, gli offro la guancia, “scusa non posso” e scappo via.
Salgo a casa e comincio a dare di matto. Chiamo la mia amica che era con me quella sera e che da tempo fa il tifo perché il mio clitoride venga dignitosamente soddisfatto, le dico che non mi è scattato nulla e che sono scappata ma, incredibilmente, emerge un senso di colpa fortissimo. Non nei confronti del mio ragazzo, nei cui confronti la razionalizzo dicendomi che, tutto sommato, non è successo niente, ma verso S. perché, effettivamente, gliel’ho fatta annusare e non gliel’ho data.
Analizzando il mio stato d’animo, ammetto che già quando eravamo abbracciati mi sentivo in colpa e fingevo più eccitazione di quanta ne provassi in realtà, esattamente come faccio a letto, per compiacere il maschio.
Ora, non posso pensare che S. non mi eccitasse, se ci ripenso adesso i capezzoli si mettono subito sull’attenti, ma è più che altro il mio modus operandi a turbarmi: fingere, compiacere, paura di deludere le aspettative.
Tornata a casa gli ho addirittura mandato un messaggio di scuse. Mi sono scusata per aver cambiato idea, per non essermela sentita. E non sono stata tranquilla nemmeno quando ho ricevuto (il giorno dopo) il suo, da me tanto agognato, “tranquilla, capisco, no problem”.
Davvero mi sono scusata per non avergliela data?
Davvero sono così preimpostata da fingere godimento non solo durante il sesso ma addirittura prima di un bacio?
Sono una ragazza giovane, con una buona istruzione, vengo da una famiglia certamente non hippy ma neppure bacchettona, è vero sono italiana, di origini cattoliche, ma non ho mai praticato alcun tipo di culto religioso, leggo molto, sono stata anni in analisi, mi ritengo di mentalità aperta, voto a sinistra…. Possibile che la mia educazione sessuale sia così antiquata?
E, soprattutto, una volta presane coscienza, che cazzo faccio?
Come faccio a scardinare questo complesso sistema di meccanismi automatici di cui sono vittima e matrice?
È come sentirsi in colpa quando ci si masturba. Naturalmente parlo per esperienza personale ed è un sentimento che, sebbene sia scemato col tempo, non è comunque scomparso dal mio orizzonte, restando latente, in sottofondo, a sussurrarmi: “brutta depravata cosa stai facendo?!?”.
A dire la verità, l’argomento sesso è sempre stato un taboo nella mia famiglia, le uniche volte che ne ho parlato con un familiare è stato con mia nonna, grande donna, ma sposata ad un uomo complesso, non un buon marito, con gusti sessualmente discutibili che l’hanno turbata profondamente. Quello che mi ha trasmesso è stato che nel sesso si può dire di no, ma che lei non lo sapeva e non ci è riuscita, se non alla soglia dei suoi settant’anni quando, secondo me pensando di aver sufficientemente assolto ai propri doveri coniugali e di non avere più l’età per poter soddisfare le anomalie erotiche del nonno, ha, come dice lei, “chiuso la porta del sesso”, guadagnandosi con ciò il suo silente, perenne, disappunto.
Non possiamo, quindi, dire che io abbia ricevuto grosse informazioni al riguardo. Per questo credo che il mio modo di comportarmi, di pensare e, più che altro, di vivere il sesso, derivi direttamente o indirettamente da un’assurda idea del sesso eterosessuale che aleggia sopra la nostra testa da quando veniamo al mondo, una visione della sessualità che mi viene da dire sia il frutto di una società maschilista, di stampo patriarcale, in cui la donna rimane oggetto sessuale, mai soggetto, in cui è strumento di piacere e che ci si aspetta che goda alla sola vista di un pene eretto.
In questo senso, la mia vagina assume la veste di veicolo di piacere.
Se mi stai toccando, leccando, scopando, o solo desiderando, è mio preciso tacito compito assecondare questo tuo desiderio, riempire e carezzare il tuo ego di maschio dominante, essere eccitata, da te e solo da te, anche solo per il fatto che stai manifestando un certo interesse erotico nei miei confronti.
Il mio essere donna finisce per essere nascosto sotto il letto. Il personaggio che mi sento di dover interpretare, che sento che mi è richiesto impersonare, è quello di un ibrido tra la ragazza del film porno che ti sei guardato ieri sera, che ulula alla luna e schizza come un rubinetto rotto appena premi a casaccio il magico bottone dello squirting, e tua madre. Insomma, ti voglio porca, ma non troppo.
In questo cataclisma di pensieri deprimenti io non faccio sesso. Non mi viene più voglia. Non mi diverto. Non sono io. Forse, a ventisette anni, nonostante sia sessualmente attiva da quasi la metà della mia vita, in un certo senso sono ancora vergine.
La mia donna interiore, con la sua sensualità ed il suo personale erotismo, non è mai venuta allo scoperto, non è mai stata protagonista di un amplesso dall’inizio alla fine, non è stata coccolata e accettata come avrebbe meritato e, per questo, con lei mi scuso.
G.
E’ proprio così: in un modo o nell’altro, dalla mancanza di educazione alla violenza, il patriarcato rovina la sessualità di tutte le donne o quasi, ma parlarne aiuta sempre. Magari già scrivere questo ti è stato d’aiuto. Me lo auguro davvero. Comunque, se posso, ti do un consiglio: parlane con il prossimo ragazzo che conoscerai. Se sarà disposto a starti vicino, significherà che ti vorrà bene davvero, e se scapperà via, che non valeva la pena!
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