Ipazia vista da uno scrittore egiziano

Youssef Ziedan, nato nel 1958, è un celebre studioso prima che uno scrittore: è stato professore di filosofia islamica e sufismo e oggi dirige il Centro dei Manoscritti e il Museo della Biblioteca di Alessandria. Il romanzo in cui compare Ipazia, Azazel, vincitore del premio internazionale per il miglior romanzo in lingua araba del 2008 e pubblicato in Italia da Neri Pozza, è la storia degli scismi e dei conflitti del cristianesimo nel V secolo dopo Cristo, visti da un monaco egiziano.

TramaUna cella di due metri per lato. Una fragile porta di legno sconnessa. Una tavola, con sopra tre pezze di lana e lino, e un tavolino con un calamaio e una vecchia lampada con lo stoppino logoro e la fiamma danzante. A Ipa, il monaco egiziano, non serve altro per vivere nel monastero sulla vecchia strada che collega Aleppo e Antiochia, due città la cui storia ha inizio nella notte dei tempi. 
È il V secolo, un momento decisivo nella storia della Cristianità. Sono anni di violenza religiosa, di lotte e contrasti feroci, e la fede nel Cristo vuol dire scegliere una fazione, abbattere i propri nemici, e così decidere del proprio stesso destino. 
Nestorio, l’abba che ha preso Ipa sotto la sua protezione, il venerabile padre con cui a Gerusalemme e Antiochia il monaco ha discusso liberamente dei libri proibiti di Plotino, Ario e degli gnostici, è nella tempesta. Nel 428 d.C. è stato ordinato Vescovo di Costantinopoli e ora, due anni dopo, è accusato di apostasia, la più terribile delle accuse, l’abbandono e il tradimento della fede nel Cristo. Il Patriarca Cirillo, l’Arcivescovo di Alessandria, ha scritto dodici anatemi contro l’«apostata», colpevole ai suoi occhi di non riconoscere che «il Cristo è Dio nella sostanza e che la Vergine è Madre di Dio». 
Che Chiesa è mai quella che scomunica un saggio dal volto radioso, un uomo santo e illuminato che ha il solo torto di ritenere assurdo che «Dio sia stato generato da una donna»? Che Chiesa è quella rappresentata dal Patriarca Cirillo, capo di una diocesi dove i cristiani al grido di «Gloria a Gesù Cristo, morte ai nemici del Signore!» hanno scorticata la pelle e lacerate le membra della filosofa Ipazia, «la maestra di tutti i tempi»? 
È un tempo infausto per il monaco Ipa, poiché a tremare non sono soltanto i pilastri della religione, ma anche quelli del suo cuore. Da quando il sole cocente della bella Marta è spuntato per lui ad Aleppo, Ipa ha conosciuto i sussulti dell’angoscia e i fremiti della passione. E gli orrori si sono impadroniti a tal punto della sua anima che gli sembra a volte di parlare con Azazel, il diavolo in persona. 
Affascinante racconto delle peripezie umane, sentimentali e religiose di un monaco, sullo sfondo degli appassionanti conflitti dottrinali tra i Padri della Chiesa e dello scontro tra i nuovi credenti e i tradizionali sostenitori del paganesimo, Azazel è una di quelle rare opere letterarie capaci di gettare uno sguardo profondo e originale sulla Cristianità e l’Occidente, e di raccontare un’epoca in cui le pagine della storia avrebbero potuto essere scritte diversamente.

Neri Pozza, 384 pagine, 18€

Il monaco arriva ad Alessandria e lì ascolta l’annuncio delle lezioni di Ipazia. Incuriosito dal fatto che una donna insegni, va ad assistervi e rimane rapito da lei. Così la descrive: “Ipazia aveva le stesse sembianze che avevo sempre immaginato dovesse avere Gesù Cristo, un aspetto che metteva insieme delicatezza e splendore. […] Di quale sostanza luminosa era fatta quella donna? Era diversa da tutti gli altri!”.

Dopo aver assistito alla sua lezione ed aver scambiato qualche parola con lei, incontra altri compagni di studi e confratelli, e non avendo dove andare, si unisce a loro e comincia la vita monastica ad Alessandria, sotto la guida del vescovo Cirillo. Qualche anno dopo, si trova ad assistere all’ assassinio di Ipazia, che lo riconosce e gli chiede aiuto, senza che lui riesca a darglielo. Dopo averla vista morire, sconvolto, fugge dalla città e, arrivato in una zona disabitata, si battezza da solo con il nome di Ipa, “che non è altro che la prima metà del nome di lei”. Trovo molto significativo che non sia mai conosciuto con un altro nome nel corso del romanzo.

Il ricordo di Ipazia, l’orrore per la sua morte e il rimorso per non aver tentato di aiutarla con più determinazione rimangono sempre vivi nella mente di Ipa, che ha qualcosa in comune con lei: l’anelito ad una spiritualità autentica e il disprezzo per i giochi di potere. La sua amicizia con Nestorio finisce quando lo vede, arrivato alla carica di vescovo, tentare di imporre dogmi, e quando il suo monastero si piega all’accettazione del canone deciso dal concilio di Efeso, decide di riprendere la sua vita nomade.

All’arrivo ad Alessandria, Ipa aveva conosciuto una donna, Ottavia, e si era lasciato trascinare in una relazione finita dopo pochi giorni, quando lui le aveva confessato di essere un monaco cristiano. Ottavia era al servizio di un mercante che le voleva bene come ad una figlia e le aveva dato un’ottima educazione. Entrambi erano scettici sui testi e i dogmi ebraici e cristiani e disprezzavano i monaci di Alessandria. Quando Ipazia era stata aggredita, solo Ottavia aveva cercato di salvarla, pagandolo con la vita. Nella ricostruzione di Ziedan, una donna pagana ha più coraggio di un uomo cristiano. Ipa non avrà coraggio nemmeno quando si innamorerà di una giovane donna, Marta. Quando lei gli chiede di seguirla (pensando all’amore, e probabilmente anche al destino che la aspetta senza la protezione di un uomo) lui, che ha ormai quarant’anni, il doppio della sua età, si preoccupa soprattutto di poter essere tradito, e finisce per abbandonarla al suo destino. La fede cristiana dell’epoca non fa bene ai sentimenti più autentici, sembra dire Ziedan, che riscatta il meglio della tradizione del mondo classico di fronte al fanatismo che emerge e si consolida.

Irene Starace

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