Senza musica non potrei vivere: é il mio nutrimento, é l’aria che respiro.
Esma.
Di lei dicono che quando cantava, anche il tempo si fermava ad ascoltare, la gola spezzata a metà, le lancette asciutte, ubbidienti.
Nella sala non rimaneva niente: soltanto le sue labbra, soltanto la sua voce. Si prendeva tutto con le mani piccole e lo trasformava in vento, nel vento dolce-amaro dei suoi antenati, nel loro canto di abisso e di magia.
E non c’era proprio storia, allora: lo spazio che divide gli uomini, lo spazio che crea le frontiere diventava un’altra cosa, e così il pregiudizio, che scivolava, gentile, nell’aria tutto intorno fino a sciogliersi per terra.
Di lei dicono che quando cantava non cantava soltanto con la voce: cantava con gli occhi accesi, con la pelle caramello, cantava con gli orecchini di perla, con i tessuti leggeri dei suoi vestiti sgargianti, con la sofferenza e con la gioia del suo popolo antico, con la forza di chi crede che un giorno, presto o tardi, la musica ci salverà tutti.
Di chi sto parlando?
Sì, proprio di lei, di Esma Redžepova, la “regina della musica gitana”.
Esma nacque a Skopje l’8 Agosto 1943. I suoi genitori erano rom di umili origini, provenienti da famiglie stanziatesi dapprima in Serbia e in Turchia e poi in Macedonia.
Fin da piccola sperimentò su di sé i pregiudizi legati alle sue origini: raccontò in un’intervista, molti anni dopo che a scuola nessun bambino voleva sedersi vicino a lei, che veniva spesso emarginata dai suoi coetanei e additata come “sporca”, “ladra” e tutta una serie di altri epiteti che anche oggi, soprattutto oggi, vengono affibiati ai rom.
Ma Esma non era disposta a subire la discriminazione in silenzio: nella stessa intervista raccontò divertita che un giorno, stanca di essere isolata, si alzò dal suo posto e andò a sedersi di fianco ad un ragazzino della sua classe. Scandalo! Nella scuola di Esma, le femmine dovevano sedersi con le femmine e i maschi con i maschi, non era ammesso che nello stesso banco potessero stare un bambino e una bambina. E così, con quel primo gesto di sfida, sancì l’inizio della sua lotta allo stereotipo che sarebbe stata colonna portante di tutta la sua vita.
Da sempre dotata di un naturale talento canoro, si fece strada molto presto nel panorama musicale prima locale e poi mondiale: a 14 anni, vincendo un concorso organizzato da una radio locale per giovani cantanti emergenti, conobbe il produttore e compositore Stevo Teodosievski, suo mentore e, in seguito, marito.
Esma lasciò quindi la casa dei suoi genitori per frequentare l’Accademia musicale di Belgrado.
Con Teodosievski partì poi per una tourneé che la fece conoscere in tutto il mondo.
In pochi anni si fece portavoce della cultura e delle tradizioni musicali del suo popolo, reintrepretando numerose canzoni in lingua romanì, volendo tuttavia puntare ad un pubblico mondiale, non circoscritto alla sua gente. E questo fu un altro dei numerosi gesti di coraggio della ‘piccola gitana di Skopje’: Esma, infatti, aveva deciso di muoversi in direzione-per le dirla alla De André- ostinata e contraria rispetto ad una cultura che, complici le istituzioni, cercava di far scivolare il Porrajmos (genocizio nazista di rom e sinti) nel dimenticatoio, completando la violenza di nemmeno troppi anni prima con il silenzio mediatico che ancora oggi fatica ad essere eliminato.
Oltre a questo, Esma combatté anche per il diritto delle donne rom ad accedere ad un’istruzione adeguata nelle aree povere della Macedonia, fondando numerosi enti di beneficenza, tant’è che si guadagnò l’appellativo di “Madre Teresa di Skopje”.
Nel 1976, in India, le fu dato il titolo simbolico di “Regina della musica rom”; titolo che lei portò sempre con fierezza e riconoscenza.
Il mio è un popolo molto sensibile, che soffre delle barriere ingiuste e inumane che vengono erette nei suoi confronti. È come essere in un giardino dove tutti i boccioli fioriscono, tranne uno!
La sua arma contro l’ignoranza e la paura? La musica.
Con questa, Esma voleva ridare vita alla sua gente, offrendo al mondo l’immagine di un popolo complesso, pieno di riti, simboli, usi e costumi affascinanti che, figlio di una tradizione orale, aveva affidato la sua intera eredità alla musica popolare, a canzoni all’apparenza innocenti ma in realtà ricche di potenza e, molto spesso, di dolore (a questo proposito vi rimando a Chaje Shukarije, “bella ragazza rom”).
Tra gli altri, magistrale é la sua interpretazione dell’inno rom, Djelem djelem (traduzione Ho viaggiato e viaggiato).
Nel 2002 fu addirittura candidata al Premio Nobel per la Pace grazie all’impegno speso nella causa rom; pochi anni dopo la sua voce fu decretata come la seconda migliore di tutti i tempi nella top 50 della National Public Radio (la radio pubblica americana), preceduta soltanto da Ella Fitzgerald.
Esma é morta l’11 Dicembre 2016, lasciando alla causa rom la sua voce e la bellezza spiazzante delle sue convinzioni e della sua umanità.
Se c’è una cosa, però, che la cultura rom ci insegna è proprio questa: parlare dei morti è peccato, proprio perché nessuno muore mai. Ritorniamo tutti al vento che ci ha partoriti, alle molecole di cielo sparse per il mondo, fino alla fine dei tempi.
E sono sicura che, se chiudiamo gli occhi, i capelli liberi e i piedi scalzi, nel vento Esma canti ancora le gioie e i dolori della sua gente.
[…] L’usignolo vagabondo- La vita di Esma Redžepova, “Regina della musica rom” […]
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