Di pubblicità sessiste, nonostante sia stata riconosciuta la loro componente lesiva, ne è pieno il mondo. Sederi che vendono uno pneumatico, tette utilizzate in una campagna politica, slogan ambigui associati a delle labbra voluttuose, ma anche pubblicità inneggianti alla violenza, al razzismo e chi più ne ha più ne metta.
Insomma, sembra che abbiamo a che fare con un male inestirpabile dove le giustificazioni sono sempre le stesse: l’ironia, “ma fattela una risata” e il sessismo vende.
Nonostante alcuni comuni decidano di toglierle dalle loro strade e nei cittadini sia nata una forte consapevolezza del fenomeno quest’ultime proliferano come non mai con i loro slogan petulanti e privi di originalità. (Quanti “te la do gratis” riferiti, chessò, ad una connessione internet avete letto durante una passeggiata?)
Una pubblicità si definisce sessista quando mercifica il corpo della donna (o dell’uomo o dei bambini); lo riduce ad un oggetto sessuale, lo umilia, lo svilisce o lo inserisce in un contesto non suo. Ne avevo già parlato qui tempo fa.
Però, non è sempre sessismo ciò che vediamo.
Ultimamente si è accesa una protesta nei confronti della nuova pubblicità di Intimissimi, marchio che in passato ha fatto parlare di sé per i medesimi motivi. La pubblicità in questione vede una bellissima Irina Shayk in bralette. Molti hanno gridato al sessismo e il movimento Non una di meno si è mobilitato andando ad attaccare degli adesivi con su scritto: «Anche questa è violenza» .
La domanda delle domande è: ma questa pubblicità è veramente sessista?
Per quanto mi riguarda…no!
Vi spiego perché: nella pubblicità è presente una modella che indossa un reggiseno, nessuna posa ammiccante, nessuno slogan ambiguo, nessun riferimento sessuale, nessuna parte del corpo tagliata. Mostra la merce che il marchio vende, ovvero un reggiseno. Non è una donna in biancheria intima in una pubblicità di lavatrici. E probabilmente, se fosse stata la modella tal del tali di un marchio x e non la Shayk che tappezza tutte le città con la sua gigantografia, nessuno ne avrebbe parlato o ci avrebbe fatto caso.
Se vogliamo trovare il problema, possiamo dire che come al solito viene utilizzato un corpo eteronormato che non rappresenta la diversità di ogni donna, ma è anche vero che la campagna è fatta del solo volto di Irina e non di altre 10 donne tutte bianche, bellissime e photoshoppate. Che poi il fatto che sia photoshappata è da verificare, a me pare che sia semplicemente così bella da sembrarlo, le foto che la vedono a Cannes ne sono una dimostrazione.
La pubblicità in sé non è bellissima e tanto meno rappresenta un passo avanti: Irina posa con sguardo vacuo mostrando semplicemente quello che indossa. Stiamo parlando di una pubblicità banale che deve la sua importanza alla presenza della modella russa.
Probabilmente da un grande marchio che tappezza intere città con la sua campagna pubblicitaria ci aspettiamo delle pubblicità diverse, pubblicità che possano rappresentare una svolta o un cambiamento. Ma quando così non è, gridare al sessismo è inutile e fuorviante. E il caso in questione è proprio questo.
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Secondo il “Report of the APA Task Force on the Sexualization of Girls” http://www.apa.org/pi/women/programs/girls/report.aspx
si parla di sessualizzazione quando
a person’s value comes only from his or her sexual appeal or behavior, to the exclusion of other characteristics; (il valore di una persona viene fatto derivare soltanto dal suo sex appeal, escludendo altre sue caratteristiche)
a person is held to a standard that equates physical attractiveness (narrowly defined) with being sexy; (una persona è tenuta a conformarsi ad uno standard, che equipara l’attrazione fisica – intesa in senso stretto – con l’essere sexy)
a person is sexually objectified — that is, made into a thing for others’ sexual use, rather than seen as a person with the capacity for independent action and decision making; (le persone sono viste come oggetti adibiti all’uso sessuale altrui, piuttosto che come individui in possesso della capacità di agire e prendere decisioni autonomamente)
sexuality is inappropriately imposed upon a person. (la sessualità è inappropriatamente imposta a qualcuno).
Per parlare di “sessualizzazione” non c’è bisogno che tutte queste caratteristiche siano presenti nello stesso momento.
Quello che molta gente non comprende, è che non c’è nulla di intrinsecamente dannoso nella sessualizzazione, ovvero non è necessariamente problematico per le donne essere ritratte come ‘sexy’, ma ciò che è problematico è il fatto che quasi tutte le immagini di donne ritraggano donne sessualizzate.
Nessuna immagine pubblicitaria estrapolata dal contesto è condannabile soltanto per ciò che rappresenta. Ciò che si condanna è la frequenza con la quale una certo tipo di immagine viene proposta e soprattutto la carenza di immagini diverse da quelle sessualizzate.
Dal report dell’Apa: le ricerche a proposito dei video musicali, ad esempio. ci dicono che il 71% delle donne presenti, contro il 35% degli uomini, è abbigliato in modo provocante o è nudo, mentre le ricerche a proposito dei film ci dicono che, sebbene la maggioranza dei personaggi presenti nelle pellicole sia si sesso maschile (il 72% di quelli che parlano, l’83% delle voci narranti, l’83% dei figuranti sullo sfondo dell’azione), se andiamo a concentrarci sui corpi nudi, i nudi femminili superano i nudi maschili con un rapporto di 4 a 1. Le ricerche sui video games ci dicono che sono pochissimi i personaggi di sesso femminile (14%), e la maggioranza di questi è abbigliata con profonde scollature su seni prorompenti.
Tempo fa ho pubblicato i dettagli di uno di questi studi per mostrare lo squilibrio fra la rappresentazione degli uomini e quella delle donne: https://ilricciocornoschiattoso.wordpress.com/2016/01/12/ipersessualizzazione/
una ricerca che ha analizzato le copertine della rivista Rolling Stones dal 1967 al 2009 – 1046 copertine pubblicate nel corso di 4 decenni.
Nel 1960 l’11 per cento degli uomini e il 44 per cento delle donne comparsi sulle copertine di Rolling Stone erano sessualizzati/e. Negli anni 2000, il 17 per cento degli uomini risulta sessualizzato (con un aumento del 55 per cento dal 1960), mentre sono sessualizzate l’83 per cento delle donne (con un aumento dell’89 per cento).
Quando si parla di sessualizzazione e oggettificazione non lo si fa per condannare la singola immagine o la singola campagna – sto escludendo per ora dal contesto quelle che veicolano messaggi violenti – ma per denunciare una cultura che presenta prevalentemente un solo tipo di immagini.
Una campagna di “feminist guerrilla” come questa, ovviamente, non è creata per veicolare un messaggio tanto complesso, ma solo per attirare l’attenzione. Il passaggio successivo sarebbe spiegare. E non è stato fatto bene.
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