Ballando ad Auschwitz – la storia di Rosie e della famiglia Glaser

Nella giornata della memoria dedicata alle vittime dell’olocausto, vorrei parlare della storia di Rosie Glacér (originariamente Rosa Regina Glaser) e della sua famiglia, ricostruita da suo nipote Paul Glaser nel libro Ballando ad Auschwitz.


Il cognome

Paul Glaser è un dirigente medico olandese nato immediatamente dopo la seconda guerra mondiale. paulGià adulto e padre di tre figli adolescenti, scopre casualmente che il suo cognome è un cognome di origine ebraica, piuttosto diffuso in altri paesi ma non in Olanda. In un primo momento non attribuisce alla cosa particolare significato: la sua famiglia è cattolica e nella fede cattolica sono cresciuti lui e i suoi fratelli e sorelle. Ma qualche tempo dopo, complice l’inciampo in piccoli indizi fortuiti che si inseriscono nel quadro della sua famiglia paterna dando ai fatti a lui noti connotazioni nuove, comincia a sospettare che la storia di famiglia che gli è stata raccontata non sia del tutto vera. Cerca così un dialogo col padre, che questi gli rifiuta: non vuole parlarne, ma non nega che le origini della famiglia gli siano state taciute. A quel punto Paul decide di interrogare la nonna materna, che gli conferma che la famiglia di suo padre era una famiglia ebraica e che i nonni paterni che lui non ha mai conosciuto non sono morti “durante la guerra” come gli era stato fatto intendere, ma assassinati ad Auschwitz.

rosie1La notizia ha su Paul diversi effetti: vuole sapere, ma allo stesso tempo non osa porre domande a suo padre, il cui dolore rende refrattario a qualsiasi racconto; nessuno dei suoi fratelli sa nulla di più, e alcuni di loro rifiutano la possibilità di avere radici e una storia diverse da quelle che secondo loro costituiscono la loro stessa identità: non vogliono essere turbati da una storia dolorosa e anche Paul è in parte d’accordo. Anche la nonna materna non sa dirgli molto di più e la sua unica zia Rosie, sorella di suo padre, vive in Svezia da dopo la guerra, le famiglie non si sono mai frequentate e lui sa solo che la zia esiste, ma nulla di più. La storia della famiglia Glaser, per Paul, resta congelata tra questa scoperta e quello che gli è stato raccontato.

René Glaser

Due anni dopo aver parlato con la nonna materna, che gli ha confermato che la storia della sua famiglia non è quella che lui conosce, si reca a Bruxelles per un incontro con un funzionario della Commissione Europea, con cui scopre di condividere il cognome. Non solo, il funzionario si chiama René, come il fratello di Paul, e la sua famiglia viene da Nijmegen; i due si rendono presto conto di essere cugini di secondo grado e che l’anello di congiunzione tra i due è zia Rosie e quindi John, il padre di Paul, che sono cugini del padre di Renè. Si riaccende così la necessità di sapere, ma di nuovo tutto si arena.

La valigia

Nel frattempo, durante un viaggio di lavoro a Cracovia, Paul visita Auschwitz con dei colleghi. Nel museo vede, in una catasta di valige, una valigia con un cartellino che riporta il nome Glaser. Lo shock questa volta è ancora più intenso e Paul non riesce a concludere la visita, rifiutando di dare spiegazioni ai colleghi.

lettereLa signora Coljee

Si aggiunge infine un altro tassello: viene a mancare in una casa di riposo l’anziana signora Magda Coljee che tra le sue cose conserva una fitta corrispondenza con Rosie mentre si trovava nel campo di concentramento di Westerbork e successivamente alla liberazione in Svezia. L’infermiera della casa di riposo incaricata di sgombrare la camera della signora Coljee, in assenza di parenti, cerca sulla guida telefonica il nome Glaser, cercando parenti della mittente delle lettere che ha trovato. E poiché i Glaser in Olanda sono pochissimi, rintraccia Paul che viene così in possesso di tutta la corrispondenza di sua zia con la signora Coljee, che l’ha prima nascosta insieme alla madre, poi aiutata quando si trovava a Westerbork e infine in un suo breve rientro in Olanda dopo la guerra.

A questo punto Paul decide di rintracciare sua zia.

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L’incontro con Rosie

I due hanno un unico incontro in Svezia, a casa di lei. È un incontro intenso, a tratti dolce, a tratti durissimo. Quando si salutano, zia e nipote non sanno che non si vedranno mai più: Rosie manca poco dopo ed è Paul, il parente più prossimo oltre al fratello, ad essere avvertito e a recarsi di nuovo in Svezia per spargere le ceneri di Rosie nella baia di fronte alla sua casa. 1-rosie_s-parents-falk-and-josephine-glaser-1909 In quella occasione, Paul cerca e trova le foto e i documenti che gli permettono di ricostruire la storia della famiglia Glaser e in particolare di Rosie e di conoscere finalmente i nonni Falk e Josephine Glaser (nella foto nel 1909), gli zii, i cugini dei quali nessuno gli ha mai parlato e che il nazismo ha inghiottito.

La storia di Rosie

Rosie nasce in Germania nel 1914 e si trasferisce in Olanda con la sua famiglia ancora bambina. È una grande ballerina e insegnante di danza, una giovane donna bellissima, indipendente e piena di vita. Quando i tedeschi invadono l’Olanda è sposata con un maestro di danza insieme al quale ha fondato una scuola di ballo, Leo, che aderisce al partito nazista insieme al fratello Marinus. Rosie chiede il divorzio e inizia una frequentazione con un altro uomo, Kees e successivamente con Ernst, con il quale progetta di risposarsi e trasferirsi in Svizzera.

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ballo

La sua vita diventa sempre più difficile man mano che vengono emanate le leggi razziali, che la costringono da principio a rinunciare alla sua scuola di ballo, che comunque lei porta avanti in segreto nella soffitta dei genitori, poi la conducono ad un arresto a causa del suo ex marito Leo e dell’ex cognato Marinus che la denunciano per il mancato rispetto dei divieti, poi ad entrare in clandestinità e infine alla deportazione nel campo di concentramento di Westerbork sempre a causa di una delazione questa volta di Kees, e da lì ad Auschwitz. A Westerbork continua a dare lezioni di ballo ai sorveglianti olandesi, che la conoscono e conoscono la sua scuola, riesce addirittura a organizzare uno spettacolo di cabaret e intreccia una relazione con un SS che per un certo periodo la protegge e protegge i suoi genitori. Ad Auschwitz sarà sottoposta ad esperimenti medici da parte del dottor Clauberg che tra le altre cose la renderanno sterile, e al suo rifiuto di proseguire verrà assegnata al Sonderkommando, il gruppo di prigionieri che si occupa delle camere a gas. L’orrore è insostenibile, ma in maniera fortuita Rosie riesce a farsi riassegnare al block delle donne che lavorano in fabbrica, sottraendosi al destino del commando speciale che viene mandato a sua volta al gas ogni pochi mesi. Anche ad Auschwitz inizia una relazione con un SS e impartisce lezioni di danza a SS e kapò, garantendosi alcuni piccoli privilegi che le permettono di sopravvivere e in alcuni casi di aiutare le compagne. All’avvicinarsi del fronte il campo viene evacuato e Rosie sopravvive alla marcia della morte verso Ravensbrück durante la quale la maggior parte dei prigionieri soccombe o viene assassinata dalle SS, e tra questi una ragazza belga con cui Rosie ha stretto amicizia in lager; infine raggiunge Berlino, dove riesce al farsi passare per danese e ad essere presa in caricorosie-2 dalla Croce Rossa, che la porta in salvo in Svezia. Nel nuovo paese comincia una nuova vita: si risposa, denuncia gli uomini che l’hanno consegnata ai nazisti, e inizia un lungo contenzioso con il governo olandese per un risarcimento che arriverà solo in minima parte dopo anni di attesa. (nella foto in alto Rosie e Leo; nella foto in basso Rosie in Svezia)

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La famiglia Glaser e il segreto svelato

Della numerosa famiglia Glaser (nella foto una riunione di famiglia nel 1939), alla fine della guerra sono sopravvissuti in pochissimi: Rosie e suo fratello John, un cugino fuggito nelle Indie Olandesi prima dell’invasione, la cugina Suzy. Tutti gli altri sono stati assassinati a Aushwitz e Sobibor.

riunioneSuzy racconta come al rientro in Olanda dopo la liberazione fossero tutti troppo sfiniti e straziati per denunciare chi li aveva traditi e di come apparisse meno doloroso lasciare che molte cose cadessero nell’oblio. I rapporti tra Rosie e il fratello si rompono: da principio concordano di lasciare i figli di lui all’oscuro della storia della famiglia e della tragedia della deportazione, ma finiscono con lo scontrarsi e rinfacciarsi a vicenda la responsabilità della morte dei genitori, assassinati ad Aushwitz al loro arrivo: Rosie rimprovera al fratello di essersi nascosto e di non essersi assunto nessuna responsabilità verso i genitori e lui le rimprovera la sua condotta troppo vistosa, che nella sua opinione ha portato dapprima alla deportazione del padre e successivamente all’arresto della madre. L’incontro tra Rosie e Paul in qualche modo ricongiunge un lembo strappato: Paul è grato a suo padre di averlo cresciuto risparmiandogli il peso dell’eredità dell’orrore che si è abbattuto sulla famiglia, che vede come un grande fardello per il cugino René; allo stesso tempo è grato a Rosie per avergli permesso di sapere.

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Il lato oscuro dell’Olanda 

Inoltre, la vicenda di Rosie porta alla luce il lato oscuro del loro paese d’origine (e del mio d’adozione, nda): l’Olanda ha il triste primato tra i paesi dell’Europa occidentale non alleate con la Germania per percentuale di ebrei periti durante l’occupazione nazista (il 72% contro il 22% della Francia o l’1% della Danimarca, perfino contro il 24% della Germania stessa) e per il numero spaventosamente altro di delazioni da parte di vicini di casa e conoscenti. La resistenza olandese all’invasione tedesca è minima, il collaborazionismo con i nazisti sorprendente. E il governo del dopoguerra, nella fretta di chiudere con il passato, non rende giustizia a chi è sopravvissuto, né supporto, né risarcimento adeguato. Le giovani generazioni olandesi non sono consapevoli di questo, lo stesso Paul ne è particolarmente scosso: “L’Olanda così moderna e progressista ha in realtà un lato oscuro. E scoprirlo ha rappresentato uno degli shock più forti di tutto il mio lavoro di ricerca”.

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La vita vuole vivere

Infine, un parallelo: emergono nella storia di Rosie molti dei temi che anche Primo Levi affronta nelle sue riflessioni da sopravvissuto: la violenza e la cattiveria “inutili”, il male degli aguzzini che sporca le vittime anche nella loro volontà di sopravvivere, la zona grigia e il privilegio, l’incomunicabilità da parte dei salvati di quanto accaduto.

Ma mentre Primo Levi è riflessivo, a tratti sereno ma sempre dolenteRosie ha fame di libertà, Rosie è la joie de vivre, Rosie è la vita. E la vita vuole vivere.

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Questa è la vera storia di mia zia Rosie.

Ho raccontato le sue esperienze basandomi sui suoi diari, foto, lettere e appunti del tempo di guerra, interviste e ricerche d’archivio.

Subito dopo la guerra Rosie denunciò coloro che l’avevano tradita alla polizia. Anche i rapporti che li riguardano e numerose dichiarazioni di testimoni sono entrati a far parte del suo archivio.

In quanto primo nato della generazione postbellica, ho dato alla storia di mia zia forma di libro. Essa dimostra l’importanza che possono avere la forza di carattere e l’ottimismo nei momenti critici. Tramandatela.

Paul Glaser

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