Non riaprire quella porta

Qualunque cosa distrugga la libertà non è amore.
Deve trattarsi di altro, perché amore e libertà vanno a braccetto,
sono due ali dello stesso gabbiano.
– Osho –

In seguito ai recenti fatti di cronaca, mi sento di condividere la mia esperienza di donna vittima di violenza psicologica. E’ difficile parlarne, mettersi davanti un pc e scrivere di vicende che in qualche modo mi hanno cambiato la vita, ma l’eventualità che queste mie parole possano andare a smuovere lievemente gli animi di chi si trova in una situazione simile, rappresenta il deterrente che mi fa passare ogni titubanza.

La mia storia è simile a quella di tante altre donne. A 24 anni ho incontrato quello che definivo l’amore della mia vita. Siamo stati insieme 4 anni. Inizialmente tutto sembrava una favola, lui era sempre dolce e premuroso nei miei riguardi. Piano piano però, si è insinuato nella mia vita cambiandola completamente. Iniziò lamentandosi dei miei amici e, conseguentemente, facendomi allontanare da loro; mi impose un abbigliamento più casto e un trucco più leggero, secondo lui, mi conciavo come una troia; mi obbligava costantemente la sua presenza e uscire con un’amica era diventato impossibile; mi bombardava di lamentele, nulla del mio comportamento o di quello che facevo andava bene. Queste cose mi venivano sempre poste sotto forma di ricatto, dopo i suoi ragionamenti assurdi mi diceva sempre: “Se tu me lo chiedessi, io lo farei. Altrimenti significa che non mi ami e che non sono importante per te”. Io come una stupida ci cascavo, mi prendevo la colpa anche quando non l’avevo, e facevo quello che mi veniva ordinato al fine di essere la fidanzata che lui voleva. L’importante era vederlo felice.

Il mio atteggiamento remissivo fece sì che prendesse il sopravvento su di me. Con il passare del tempo ero diventata una sottospecie di marionetta che, a detta sua, non era in grado di soddisfarlo, incapace in tutto. “Senza di me non sei niente– mi ripeteva ogni volta che litigavamo-Chi altri ti vorrebbe? Io ti sopporto perché ti amo e tu fai l’ingrata“.

La situazione fra di noi, ad un certo punto, precipitò ulteriormente. Oltre agli insulti, iniziò anche ad alzarmi le mani addosso: mi strattonava, mi spingeva, mi insultava. E ogni volta che io andavo via, lui ritornava mite come un agnellino carico di scuse: “Scusa, ma quando mi arrabbio non capisco più niente”. Quando non mi comportavo come lui voleva, mi dava la colpa di tutto; E io, mi sentivo colpevole, non so perché, ma pensavo di essere la causa della sua presunta infelicità. Forse, a furia di sentirlo dire, mi ero autoconvinta di ciò. Un giorno scoprii che intratteneva una relazione con un’altra ragazza e quando chiesi spiegazioni, lui non negò nulla, mi disse che me lo meritavo perché non ero in grado di renderlo felice. Provai a lasciarlo, di nuovo, ma lui si faceva trovare sotto casa mia tutte le mattine, mi mandava messaggi, alcuni pieni di amore altri, invece, intrisi di odio.

Tornammo insieme e per un periodo riuscì a mascherare il suo essere. Mi chiese di sposarlo e io, al posto di essere felice per la richiesta, gli dissi che non lo sapevo. Improvvisamente mi vidi catapultata in una vita con lui. I figli l’avrebbe cambiato? Davvero lui era diventato una persona diversa dopo che ci eravamo lasciati? Decisi che non volevo scoprire la risposta a quelle domande e, dopo un attimo di titubanza, gli dissi: “Io non ti voglio sposare e non voglio stare più con te”. Lo spiazzai, non si aspettava questa mia reazione e fece uscire nuovamente fuori il mostro che aveva represso per qualche mese.

Il periodo successivo non fu dei più felici, fui costretta a cambiare numero di telefono, lo ritrovavo sotto casa o che mi aspettava all’uscita da lavoro. Esasperata e spaventata, decisi di chiedere aiuto alla mia famiglia, ed è proprio grazie ad essa che sono riuscita a ripartire e a cancellare completamente quel nome dalla mia vita.

Devo essere sincera, non è stato facile. Quando i miei amici e i miei familiari mi facevano notare che lui non era la persona giusta, io non lo accettavo. Non so perché, forse l’amore che nutrivo nei suoi confronti o probabilmente una latente sindrome della crocerossina che ormai ho estirpato. Per me la sua gelosia era un modo di dirmi ti amo e la sua ira un momento passeggero causato dalla sua problematica di turno. Non riuscivo a vedere. Poi, ad un certo punto è nata in me la consapevolezza, una consapevolezza che purtroppo nessuno ti può dare se non te stessa, deve nascere da sola dentro di te. Mi sono destata dal torpore e ho scelto che non mi avrebbe mai più insultata, derisa o strattonata.  Tutto ciò, oltre a cambiarmi come persona, mi ha aiutato a dire nuovamente no quando lui è ritornato. Già, perché a volte ritornano anche a distanza di anni.

Attualmente non vivo più nel mio paese, ho trovato lavoro altrove e torno a casa solo per le feste comandate, abito con il mio attuale compagno e sono abbastanza contenta della mia vita. Un po’ di tempo fa però, dopo quasi 7 anni il mio ex si è rifatto vivo. Ero in pausa pranzo quando mi squillò il telefono e, incurante del numero sconosciuto, risposi.  Una voce divertita mi chiedeva di parlare con me, invitandomi ad indovinare chi fosse. Inizialmente credevo di essere vittima di uno scherzo ma quella voce mi fece suonare tutti i campanelli d’allarme nella mia testa. Lo lasciai giocare per un po’. E mentre lui parlava, divertito del fatto che non lo avessi riconosciuto, pensavo con odio a chi avesse potuto dargli il mio nuovo numero.

Decisi di non farmi vedere né spaventata e né titubante, non sono più la spaurita ragazzina che aveva conosciuto tanti anni fa e la mia consapevolezza è cresciuta nel tempo. Parlammo, mi raccontò del suo lavoro e dei suoi genitori. Mi chiese di me e si faceva il gradasso anticipandomi in quello che dicevo: “Mi hanno detto che ti sei laureata e del tuo lavoro, so tutto”. In qualche modo, probabilmente tramite amicizie in comune che dopo questo episodio ho provveduto ad allontanare, era riuscito a sapere diverse cose. Voleva spaventarmi, farmi sapere che mi teneva d’occhio. Alle sue domande mi mantenevo sempre vaga e dopo un po’ gli chiesi quale fosse il motivo di quella telefonata. Improvvisamente mi sembrò di parlare con il calmo e tranquillo mostro latente“Ho sbagliato con te, vorrei che tu mi perdonassi e che magari tornassimo a sentirci come due vecchi amici”. Alla sua richiesta mi feci una sonora risata e gli dissi che non avevo nulla da perdonargli, che erano cose vecchie e non avevo nessuna voglia di sentirlo nuovamente. Rimase spiazzato da questo mio rifiuto, forse credeva di avere a che fare con la remissiva ragazzina di qualche anno fa, e iniziò con la solita tecnica: “Capisco, probabilmente non mi hai amato veramente, per questo dici così”. Gli dissi che avevo da fare e chiusi la conversazione. A questa telefonata ne seguirono altre. Io gli dicevo di lasciarmi stare, che avevo la mia vita e che lui ne doveva stare fuori e lui mi faceva presente che era innamorato e che sarebbe venuto a prendermi. Mi chiese di incontrarlo e quasi gli gridai di no e dopo questo ennesimo rifiuto da parte mia, scoppiò insultando me e la mia famiglia, dicendomi che ero una fallita senza futuro. Risi di gusto e chiusi la conversazione.

Il mostro si era evoluto, ora, prima di scoppiare, sapeva essere più subdolo e paziente. Smise di chiamarmi ma iniziò a mandarmi messaggi con scritte poesie e parole strappalacrime ai quali non risposi. Stufa di tutto ciò ho bloccato il suo contatto e per fortuna non l’ho più sentito.

Quando ripenso a come sono andate le cose mi sento fiera di me e di come non abbia permesso a questa persona di importunarmi nuovamente. A cosa sarebbe servito ritornare amici? Perdonare vicende chiuse tanti anni prima? Incontrarsi per parlare? A niente… tutti questi sono solo escamotage per permettergli di insinuarsi nuovamente nella propria vita. Le persone non cambiano e se lo fanno a noi non interessa, buon per loro. È deleterio condividere la propria vita con una persona incapace di amare e che tende a sottometterci quasi come se fosse un segreto piacere personale. I narcisisti sguazzano nella nostra insicurezza, nel nostro voler perdonare per amore e impazziscono quando si trovano davanti una persona decisa e risoluta.

Non fatevi abbindolare dalle false promesse e non andate agli incontri riappacificatori. Cosa dovete perdonare ad una persona che vi ha picchiato perché  arrabbiato, o peggio ancora, per gelosia? Nulla. Sono solo scuse, pessime scuse.

Non permettetegli di riaprire la porta che avete deciso di chiudere.

Se siete vittime di violenza psicologica e non, cercate la consapevolezza dentro di voi e chiedete aiuto alla vostra famiglia e ai vostri amici più cari. La violenza non è mai un fatto privato e chi la subisce non la deve vivere come una vergogna. La deve raccontare e soprattutto denunciare.

S.

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