Riflessioni libere sul burkino

La polemica impazza, e non solo, la strumentalizzazione sia politica che religiosa, interviene a suon di titoli e schieramenti. Al centro, la donna, o meglio, il corpo della donna.

L’oggetto è il burkino, il soggetto è la donna, e questo ci tengo a sottolinearlo. Ebbene, c’è chi si innalza in difesa dell’osservanza religiosa, e chi gli si scaglia contro.

Molti sono gli uomini che ne parlano, poche le donne che prendono una posizione.

Personalmente ritengo che il burkino, ovvero l’abbigliamento con cui le donne musulmane scendono in spiaggia, che le copre interamente lasciando scoperto il viso, le mani e i piedi, sia l’ennesimo abuso nei confronti del corpo delle donne.

Ricordo ancora quanto rimasi turbata e angosciata nel leggere un brano tratto da: “Le Rose d’Arabia. Racconti di scrittrici dell’Arabia Saudita”, in cui la protagonista di uno dei racconti, in un giorno d’estate in cui la temperatura era circa a 40° gradi, si scostò il velo sul viso del burka per respirare e sentire l’aria sulla pelle. Quel gesto le causò pesanti insulti dai passanti e una caterva di botte dal marito a cui era stato riferito il gesto della donna.

Sorvolando sulle strumentalizzazioni di vario genere, mi chiedo se vi siete mai soffermati a pensare a come si dovrebbe sentire una donna coperta da capo a piedi, che fin dall’infanzia deve nascondere la chioma sotto un velo, e che da adulta se va in spiaggia deve indossare una pastrana sintetica che la chiude per tutto il corpo; e che quando fa il bagno diventa talmente pesante che spesso la devono aiutare ad uscire dall’acqua. Perché? In nome di che cosa rinunciare al piacere di avvertire l’aria  fra i capelli, il sole o la pioggia sulla pelle del corpo? In nome di una religione, o meglio, di una tradizione religiosa. Negli autobus, i loro uomini in bermuda con le gambe scoperte, e loro a sudare sotto il burqa o il niqab.

Mi chiedo cosa farebbero loro, gli uomini, se dovessero per imposizione coprirsi da capo a piedi.

Parlo di imposizione perché di questo si tratta. Leggo commenti nei quali si riporta che “è meglio che abbiano il burkino, altrimenti sarebbero recluse in casa”. Ma dico, siamo in Italia, siamo in Europa! Oppure: “non bisogna creare tensione con le comunità islamiche”. Ma queste comunità si trovano qua, nel nostro paese,  una nazione che ha visto le donne combattere per le conquiste civili e sociali come il diritto di voto, il diritto di indossare una minigonna, il diritto di appropriarsi del proprio corpo, di avere una sessualità libera.  

Ed è questo su cui occorre puntare: sull’emancipazione e l’affrancamento delle donne delle comunità musulmane da questo tipo di trattamento, in un cammino di liberazione e di parità tra i sessi.

Rimando a Charlotte Perkins Gilman (Hartford, 3 luglio 1860 – 17 agosto 1935) sociologa, scrittrice, poeta e saggista statunitense, che si rese famosa anche per la sua lotta al bustino, definito da lei come strumento di tortura munito di stecche, che mortificava le donne e il loro corpo per una visione contorta della femminilità da parte degli uomini.

Questo è il punto: la femminilità mortificata, in un’idea di costume religioso che annienta nelle donne la possibilità di godere del proprio corpo per non offendere, o non indurre in tentazione, l’uomo.

Non penso che le donne scelgano liberamente di coprirsi dalla testa ai piedi, basta vedere le immagini delle ragazze dopo la liberazione del loro territorio precedentemente occupato dal Daesh:  per prima cosa gettano il burka. Riporto anche quanto proferito dalla femminista egiziana Mona Eltahawy, che a 15 anni decise di mettersi l’hijab perché voleva dare all’uomo un messaggio di modestia, ma poi dopo 4 anni se lo tolse, perché capì che il problema non era lei, ma era l’uomo, lo sguardo dell’uomo: «Volevo sentire il vento nei capelli».

Il problema di fondo è che non vi è separazione nel mondo musulmano, fra religione e società. L’osservanza dei costumi religiosi vige sul sociale, e la comunità ne segue i parametri. Non vi è uno stato religioso e uno stato laico nella comunità, tutto è ottemperato in virtù del costume di osservanza alla religione islamica, e le donne non hanno scelta.

Ipocritamente viene detto che indossare il burka o il niqab, o adesso il burkino per la spiaggia, sia una loro scelta. Ma come può essere? Che cosa succede alle donne musulmane se si rifiutano di indossare questi capi? Le conseguenze sono la negazione e il maltrattamento. Mi chiedo se fossero consapevoli di non incorrere in ripercussioni, quante di loro si coprirebbero da capo a piedi.

Con amarezza constato il silenzio di molte femministe storiche, e di come, per la paura di apparire anti islamici, se non addirittura razzisti, molti assumono un atteggiamento tollerante, dimenticando che così difficilmente riuscirà a crescere il seme dell’emancipazione per le donne islamiche.

La donna e il suo corpo non devono essere mortificati né da leggi, né da dogmi religiosi, ma godere solo del piacere di esistere, di esplorare, di vivere le sensazioni che la natura riserva, che sia il vento fra i capelli, il sole sulla pelle, l’acqua che rinfresca e scivola in mille gocce.

Silvia Lorusso

 

6 commenti

  1. A proposito delle donne liberate dal Daesh, hannno bruciato il velo del niqab (il burka è un’altra cosa), ma hanno tenuto il hijab come si può vedere nelle foto diffuse (a partire da quella bellisima della fumatrice sorridente).
    A parte questo la liberazione per divieto mi sembra ben poca cosa. Occorre aiutare chiunque a liberarsi da ogni imposizione (religiosa, sociale, culturale), ma rispettare sempre le scelte altrui, qualunque motivazione le sostenga.

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  2. Non ho certezze al proposito, solo dubbi. E mi chiedo se è libertà sottoporsi a standard di bellezza che stabiliscono chi può indossare il bikini e chi farebbe meglio a scegliete il costume intero. O quale sia il livello di caduta delle tetto ammissibile per mostrarle on spiaggia. Se possiamo stabilire il livello di libertà di chi si copre, possiamo misurare anche quello di illibertà di chi si sveste?

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  3. Quindi sei favorevole all’imposizione dall’alto del divieto di indossare burkini sulle spiagge della Costa Azzurra?
    Come pensi in pratica si possa fare per “liberare” le donne dal velo? Ma noi occidentali siamo così libere come ci piace credere? o siamo anche noi intrappolate in gangli culturali che ci impediscono di esprimerci liberamente? (vedi depilazione, il tabù sulle mestruazioni, la dittatura delle taglie piccole, della lotta alle smagliature e alla cellulite?).
    Ma tu, ci hai mai parlato con una donna che indossa il velo?
    Ma queste opinioni non corrono il rischio di lasciare il tempo che trovano?
    Sul serio, qual è la tua posizione?

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  4. Gentili utenti, comprendo benissimo che questo tema possa suscitare commenti e reazioni di ogni genere, ci tengo a precisare però che se leggete attentamente io non cito obblighi o divieti, quelli sono temi che spettano al legislatore ed eventuali commissioni, quello che ho scritto scaturisce da una mia riflessione come precisato nel titolo. Tutto questo è chiaro nella chiusura dell’articolo: “La donna e il suo corpo non devono essere mortificati né da leggi, né da dogmi religiosi, ma godere solo del piacere di esistere, di esplorare, di vivere le sensazioni che la natura riserva, che sia il vento fra i capelli, il sole sulla pelle, l’acqua che rinfresca e scivola in mille gocce.”

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