Qualcuno l’ha rinominata la Primavera Francese, ma è piuttosto conosciuta come la Nuit Debut : cominciata il 31 marzo e mai terminata, nonostante gli sgomberi e gli affrontamenti tra polizia e manifestanti. É la risposta disobbediente alla proposta di legge El Khomri (dal nome della ministra del Lavoro) che disciplina imprese e lavoratori e che, se verrà approvata, sarà a discapito dei soli lavoratori, ancor meglio se precari, assunti a tempo determinato e manco a dirlo, se “lavoratore” è coniugato al femminile.
Che cosa prevede la legge nello specifico? Che un dipendente, per motivi organizzativi, potrà lavorare fino a 12 ore al giorno e fino a 60 ore la settimana, per esempio. O che un’impresa sarà libera di licenziare se attraversa delle difficoltà economiche (e chi se ne frega se potrebbe “barare” dichiarando una cifra d’affari al ribasso!). E questi sono solo alcuni punti della riforma. Così, tutti i cittadini (ou presque) che siano originari francesi, pakistani, italiani, sud-americani o del Burkina Faso, sono scesi in piazza, proprio in quella, simbolo della Repubblica e della Democrazia, dove ancora giacciono i tributi alle vittime dell’attentato del 13 novembre. Non importa il tuo statuto, che tu sia studente, operai*, grafic*, insegnante e nemmeno la tua età anagrafica: dalla fine di marzo, una pluralità di movimenti diversi e solidali si sono dati appuntamento qui. Alcuni non se ne sono mai andati, neanche di giorno, e le loro tende, divelte e sequestrate dalle forze dell’ordine, sono state rimpiazzate da rifugi di fortuna.
C’è il movimento ecologico, la radio soundsystem, il gruppo degli avvocati per le consultazioni giuridiche, il movimento organizzatore delle manifestazioni, la libreria comunista, il comitato femminista e c’è pure il cuoco ufficiale della nuit debut, che guarda caso è il mio vicino di casa. Nelle università e nei licei, le lezioni si sono interrotte o continuano a singhiozzo, oppure si sono semplicemente spostate qui, all’aperto. Così all’università di Paris 8, le lezioni della sezione Gender Studies si sono svolte per terra, a gambe incrociate. Si discute di come cambierà la vita delle lavoratrici, che sebbene abbiano un curricolo scolastico più notevole dei loro compagni, sono sempre più sanzionate e precarie nelle realtà lavorative. Si parla della presa di parola in pubblico, dove sovente le donne ancora tacciono o sono poco presenti, nonostante lo stereotipo (mai per altro confermato da una sola ricerca) che vorrebbe le donne loquaci e pettegole. Si fa autocoscienza, come negli anni 70 e se la riunione è aperta alle sole donne e alle minoranze di genere (trans e transgender), si racconta di sé liberamente, degli abusi e delle molestie sessuali subiti ovunque: sui mezzi di trasporto, negli studi medici, nelle scuole pubbliche o tra le mura domestiche. É cambiato pure il calendario nelle Notti in Piedi, perché dopo la prima del 31 marzo, si è cominciato a organizzare quella del giorno dopo, nel giorno inesistente rinominato 32 marzo (e così di seguito!).
Sono nati slogan che sono l’emblema di questa convergenza di lotte : La condivisione è la soluzione alla crisi mondiale oppure Non spetta alle persone di potere scrivere le regole del potere. So che se n’è parlato talmente poco in Italia, che non si ha davvero la misura della portata di questo mese di manifestazioni e scioperi ad oltranza. Restare in piedi significa resistere, anche la notte. Significa che insieme i sogni si possono realizzare o al limite che non possono trasformarsi in incubi. Mi chiedo che cosa aspetti l’Italia a levarsi, a non piegare sempre la schiena davanti ai potenti di turno, ad abbassare lo sguardo davanti al potere mediatizzato e legalizzato. Ma ho il timore che da noi, in piedi, ci siano rimaste solo le sentinelle!
Babita
L’ha ribloggato su sumundu.
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