Ciclo. Voci di donne- Aborto

Tempo fa abbiamo ricevuto una testimonianza sull’aborto da una nostra lettrice, che ci ha molto toccato e ci ha spinto ad aprire la raccolta Voci di donne. Abbiamo riflettuto molto su come aprire questa discussione e lo abbiamo fatto cercando di essere chiare e sottolineare che lo scopo NON è quello di mettere in discussione il diritto all’aborto ma di raccontare quello che ruota intorno a questa scelta.
Vogliamo provare ad affrontare il lato meno “pubblico” dell’interruzione di gravidanza, quello che non riguarda lo scandalo dell’obiezione di coscienza, ma quello più intimo e privato che le donne tendono a non raccontare per paura di essere giudicate e isolate.

La sofferenza c’è anche quanto interrompere una gravidanza è una scelta libera, logica, di salute propria o del feto; e viene spesso soffocata, impedendo alle donne di parlarne, di parlare con i propri compagni, escludendo così la possibilità di essere aiutate o anche solo comprese. È in qualche modo una forma di autocensura, e noi crediamo che sia sbagliata: non è tacendo dei vissuti che faremo valere i nostri diritti. Abbiamo diritto di scegliere e abbiamo diritto di stare bene come di soffrire. Non tutte le scelte che si fanno ci portano verso la strada più dolce, ma questo non vuol dire mettere in discussione quelle scelte.

Vogliamo provare a raccontare e vogliamo provare ad avere fiducia in chi di voi leggerà queste testimonianze: leggetele fino in fondo, non fermatevi, non mettete la corazza e non correte all’attacco. Non occorre.

NON è in discussione il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, NON è in discussione la legge 194. Vogliamo solo parlare di noi, senza censure.

E per chi volesse contribuire con il racconto del proprio vissuto, vi chiediamo di inviarlo a bambole.diavole@gmail.com

Qui trovate le altre testimonianze che abbiamo ricevuto.

Ciclo

Basta niente e tutto torna a galla, come se non fosse mai andato via. come se fosse sempre stato lì, accanto a te. Se dopo tanti anni, con tanti farmaci, con tante parole, dopo tanti respiri, dopo la tregua delle morse alla pancia ti ritrovi il dolore che ti stringe gelidamente il collo e ti annoda lo stomaco, tu, tu cosa puoi fare?

Bastano le parole di chi racconta una violenza non sua, di chi da fuori ha immaginato qualcosa che non è mai accaduto ma che tu senti così vero, così reale, così talmente reale da portarti fuori dalla tua realtà, da farti perdere il contatto col tempo, da non farti avvertire la sedia sotto di te e il pavimento su cui poggia, da farti fluttuare via. nel buio. quest’uomo racconta un dolore vivido e tu lo senti perché parla di te.

Parla di un furto. Di uno strappo. Le hanno strappato via. Le hanno tolto, tolto da dentro. le hanno raschiato via. E lei è impazzita.

Un bimbo dentro una bimba. Una bimba che non è più bambina, è una donna e una mamma senza un bambino.

Torni a terra e tutto scorre, nessuno si è accorto che per un po’ te ne sei andata. E se nessuno vede non è successo nulla. Giusto?

Arrivano altri pensieri, la bocca si riempie di altre parole e le orecchie di altri suoni.

Il tempo scorre e ti trasporta avanti.

Il tempo scorre ma tu smetti di nuovo di corrergli dietro. Ti ritrovi seduta, sul pavimento del tuo soggiorno con la schiena appoggiata al divano e lo sguardo fisso su un’immagine che non sapevi neanche più di avere. è un palazzo del centro, un ingresso ampio, marmo, piastrelle, nessun arredamento. c’è una sala d’aspetto, con qualche sedia e un paio di riviste. I muri in effetti hanno qualche locandina, qualche manifesto che pubblicizza e promuove la precauzione, i centri, l’ascolto.

C’è una donna, che mi fa tante domande. Mi chiede che lavoro fanno i miei genitori, mia madre è impiegata rispondo, sento C. dire che non è così, che devo essere più precisa, che non  è un’impiegata e che anzi ci rimarrebbe male a sentirsi definita così. Ma è la verità e io non ci vedo niente di male, non capisco.

Mi vergogno. Di me stessa, di quello che la mia voce sta dicendo: voglio abortire senza che i miei lo sappiano perché mio padre mi caccerebbe di casa. Non è vero.

Voglio farlo da sola perché me ne vergogno. Perché non avrei il coraggio di dirlo davanti a loro. E così faccio ricadere la colpa su di lui, sul mio eroe, sul padre migliore che ci sia, perché è il mio, e se anche non è perfetto per me non potrebbe essere meglio.

Andiamo via. La faccenda è più complicata di quel che pensavo, e anche la signora deve aver capito che era una situazione in cui doveroso e necessario coinvolgere la famiglia.

Oggi ho il ciclo. Per un attimo mi sono fermata a guardare quel rigolino di sangue nel gabinetto, avere il ciclo non è più normale per me. è come vivere cinque o sei giorni di qualcosa che non sono io, qualche giorno di ‘‘strano’’.

Ogni mestruazione mi ricorda quello che ho fatto, ogni mestruazione è una morte soffice. Silenziosamente il mio corpo espelle il sangue che ho versato, e io mi fermo per guardare.

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