Scena I
Ambulatorio dentistico.
Vinca sfoglia le riviste messe a disposizione per i pazienti in attesa.
Pubblicità di una nota marca di vestiti: modella magrissima, quasi androgina, posa improbabile, contrasto stridente tra labbra invitanti strategicamente socchiuse e sguardo assassino, età indefinita tra i 15 e i 25 anni. Pubblicità di crema antirughe: ragazza bellissima, ovale rassicurante di richiamo ottocentesco, sguardo sereno rivolto all’infinito, età imprecisata tra i 25 e i 30 anni (evidentemente lei le rughe ancora non le ha!). Pubblicità farmaco anti herpes: modella bellissima, dinamica, sorride dimentica del virus che le sta sfigurando il viso mentre si reca con passo sicuro a lavoro. Età indecifrabile.
Scena II
Nella testa di Vinca
Donne. Volti di donne. Corpi di donne. Ovunque. Per pubblicizzare qualsiasi cosa. Più o meno vestite. Accostate al prodotto proposto, come se fossero merce anche loro. Invitanti. Ammiccanti. Quasi fossero comprese nel prezzo. Il corpo delle donne fa vendere, si sa. E poco importa se la modella della crema antirughe è una ragazzina che le rughe di sicuro non le ha (e quindi poco probabilmente la crema miracolosa che sponsorizza potrà ridare i lineamenti distesi ha chi invece le rughe le ha veramente). Quello che conta è vendere. L’ossessiva proposta di visi e corpi giovani, perfetti e tutti molto simili tra loro nelle pubblicità non è casuale. Ci propongono un modello unico al quale è indispensabile uniformarsi pena l’emarginazione. Paragonare se stesse a questi modelli inarrivabili e computericamente modificati crea inevitabilmente frustrazione. Ed è questo che la società dei consumi vuole. Creare frustrazione, senso di inadeguatezza. Infatti, è solo se ci sentiamo frustrati che ci trasformiamo nei consumatori compulsivi alla ricerca dell’ultimo ritrovato della moda o della cosmetica che le industrie vogliono. Acquistiamo merci per placare il nostro senso di inadeguatezza, per sentirci per qualche istante più vicini agli stereotipi delle pubblicitàj. Per illuderci di aver così conquistato un posto in questa società dell’immagine, nella quale apparire -giovani, belle, sexy- è tutto. Pasolini, con ammirevole lungimiranza e lucidità, diceva che l’omologazione proposta dai media ha proprio questo scopo: creare frustrazione per mandare avanti la macchina del commercio. Noi donne siamo insieme vittime e carnefici di questa situazione. Vittime perché la pressione che subiamo dai media in questo senso è schiacciante. Carnefici perché anziché ribellarci ci accaniamo contro noi stesse: giudici implacabili nel condannare ogni minima imperfezione del nostro aspetto, ci aggiriamo furtivamente nel reparto cosmetici del supermercato, in profumeria o dal chirurgo estetico alla ricerca di un placebo per calmare la non-accettazione di noi stesse.
Scena III
Ambulatorio del dentista.
Vinca:”Ehm….non potrebbe farmi anche la sbiancatura dei denti, oltre che la pulizia?”